Quando si parla di rock progressivo degli anni Settanta, i nomi che vengono in mente più spesso sono Genesis, Yes, King Crimson o E.L.P. (Emerson, Lake & Palmer). Eppure, esiste una band che, pur condividendo lo stesso decennio e la stessa ambizione enciclopedica, è sempre rimasta un passo laterale, quasi in un universo parallelo: i Gentle Giant.
Nati a Londra nel 1970 dalle ceneri dei Simon Dupree & the Big Sound (un gruppo pop-psichedelico che aveva avuto un hit inatteso con “Kites”), i Gentle Giant erano sostanzialmente tre fratelli Shulman – Derek (voce, sassofono, basso), Ray (basso, violino, chitarra acustica, voce) e Phil (sassofono, tromba, clarinetto) – più Gary Green (chitarra), Kerry Minnear (tastiere, vibrafono, violoncello, voce) e, nel corso degli anni, una serie di batteristi di altissimo livello, da Malcolm Mortimore a John Weathers.
Ciò che li rende unici non è tanto l’eclettismo strumentale in sé (c'erano altri gruppi prog i cui membri erano in grado di suonare venti strumenti diversi), quanto il modo in cui lo usavano: non per fare sfoggio fine a se stesso, ma per costruire un linguaggio musicale che sembrava sempre sul punto di sgretolarsi e invece teneva miracolosamente insieme.Ascoltare un loro brano tipico – “Knots”, “The Advent of Panurge”, “Playing the Game” o la suite “In a Glass House” – è come osservare un puzzle tridimensionale che si monta e smonta in tempo reale. Le voci si intrecciano in contrappunti madrigalistici rinascimentali (Minnear aveva studiato composizione classica al Royal College of Music), le ritmiche cambiano metro ogni tre battute, i timbri si sovrappongono in modi che anticipano di decenni certe cose di Frank Zappa o dei Mr. Bungle, ma con un’eleganza britannica che non scade mai nel puro virtuosismo semi-circense.
"Proclamation"
I testi, poi, sono un altro mondo. Derek Shulman era affascinato dalla letteratura, dalla filosofia e dal gioco di parole. Acquiring the Taste (1971) si apre con una dichiarazione di intenti quasi arrogante: «It is our goal to expand the frontiers of contemporary popular music at the risk of being very unpopular». E mantengono la promessa. Parlano di Rabelais, di Knots di R.D. Laing (psichiatria anti-psichiatria), di alchimia, di scacchi, di potere e di libertà individuale, sempre con un distacco ironico che li salva dal didascalismo di tanto prog.
"The Advent of the Panurge" Dal punto di vista sonoro, i Gentle Giant sono la band prog più “polifonica” in senso letterale: ogni strumento ha una personalità, un ruolo melodico quasi costante. Non c’è quasi mai un accompagnamento “di servizio”. Il basso di Ray Shulman non fa solo groove, canta linee indipendenti; il vibrafono di Minnear non colora, guida; la chitarra di Gary Green passa senza soluzione di continuità dal rock al jazz al folk celtico. E, sopra tutto questo, le voci: controcanti a cinque-sei parti, spesso registrate senza overdub eccessivi, che suonano come un coro medievale finito per sbaglio dentro un amplificatore Marshall.
Il periodo d’oro va dal 1970 al 1975: sei album (Gentle Giant, Acquiring the Taste, Three Friends, Octopus, In a Glass House, The Power and the Glory) che rappresentano probabilmente il picco creativo del progressive britannico tout-court.
Poi, come quasi tutti i gruppi del genere, arrivano i compromessi: Free Hand (1975) è ancora eccellente ma più accessibile, Interview (1976) cerca (invano) la hit radiofonica, e dal 1977 in poi la parabola discendente è inarrestabile. L’ultimo album, Civilian (1980), è un onesto tentativo di AOR che però suona come una resa.
Eppure, paradossalmente, è proprio il loro rifiuto di fare concessioni facili che li ha resi un culto. Non hanno mai avuto una “The Court of the Crimson King” o una “Roundabout” che entrasse in heavy rotation. I loro concerti erano eventi per iniziati: partiture complesse, cambi di strumento continui, umorismo surreale (i famosi “giochetti” tra un brano e l’altro in cui si scambiavano gli strumenti o improvvisavano madrigali su richiesta del pubblico).
Oggi i Gentle Giant sono probabilmente la band prog più influente tra i musicisti e meno conosciuta dal grande pubblico. Li citano i Spock’s Beard, i The Flower Kings, ma anche band math-rock come Battles o post-rock come Sigur Rós (ascoltate “Cogs in Cogs” e ditemi se non sentite un antenato di certi loop di Jónsi). Mike Portnoy li ha sempre messi nel suo personal pantheon. Persino i Radiohead dei primi anni devono qualcosa al modo in cui i Giant trattavano la voce come strumento.
I tre fratelli Shulman, dopo lo scioglimento, si sono dedicati alla produzione e al management (Derek ha lavorato con Bon Jovi, Billy Idol, ecc.), ma nel 2004-2005 hanno autorizzato una reunion parziale (con Minnear e Green) sotto il nome “Rent-a-Giant” per qualche concerto celebrativo. Niente nuovo materiale, solo la conferma che quelle musiche, eseguite dal vivo nel 2020 come nel 1972, suonano ancora aliene.
I Gentle Giant non sono mai stati “piacenti”. Non hanno mai voluto essere amati facilmente. Hanno scelto di essere difficili, intricati, ironici, coltissimi e antidivistici. E proprio per questo, a distanza di oltre cinquant’anni, restano una delle esperienze più stimolanti e irripetibili che il rock abbia mai prodotto.Se non li conoscete ancora, iniziate da Octopus (1972). Poi preparatevi a un viaggio senza ritorno.
Tutta l'attività dei Popol Vuh - notevole negli Anni Settanta - ruotava in pratica intorno a Florian Fricke, pianista-tastierista spentosi a 57 anni il 29 dicembre 2001 a Monaco di Baviera.
Florian Fricke (1944-2001)
Werner Herzog, l'uomo che diresse in diversi film l'attore mattoide e geniale Klaus Kinski, usò molto spesso la musica dei Popol Vuh per il soundtrack, musica caratterizzata da un'aura mistica, spirituale, cosmica.
Una piccola oasi di eccellente musica progressive, purtroppo semi-obliata.
Singles & Unreleased
1"Il Buono" (fromThe Spaghetti Epic 2 - Musea 2009)
25:09 2"Jill" (from The Spaghetti Epic- Musea 2004)
21:51 3
"Rune 49" (from Kalevala: A Finnish Progressive Rock Epic - Musea 2008)
8:57 4"Sguardo Verso Il Cielo"(Unreleased)
6:41 5"Father, Son" (from Family Snapshot: a tribute to Genesis solo careers - Mellow Records 2013) 4:22
Oltre un'ora di sonorità sopraffine, con muggiti di sintetizzatori e impennate di chitarre elettriche, testi e canti strazianti e/o romantici, e le classiche melodie bellissime di Nico Randone, questo Mozart del rock odierno.
Gli Half Past Four provengono da Toronto e, con Finding Time, presentano il loro terzo album completo, dopo Rabbit in the Vestibule(2008) e Good Things (2013). Beh, "album completo" è un concetto relativo: 34 minuti di lunghezza oggi vengono solitamente dedicati più che altro a un EP o mini-album. La verità è che in passato ne hanno fatto un altro - Land of the Blind nel 2016 - che è della durata di circa 25 minuti: dunque, questa sembrerebbe essere una dimensione quantitativa da loro amata.
Significative anche le pause lunghe tra un disco e l'altro, dovute probabilmente ai cambi di formazione. D'altra parte, però, il 60% del quintetto è quello degli inizi: il tastierista Igor Kurtzman, il bassista Dmitry Lesov e la cantante Kyree Vibrant.
Kyree ieri...
...e un po' più di recente
Ciò che gli Half Past Four offrono è una forma interessante e variegata di progressive rock che non si può infilare in nessuno dei soliti cassetti, tranne volerlo catalogare come "jazzrock/prog" e/o "crossover prog". Svolte musicali sorprendenti e arrangiamenti insoliti sono una loro caratteristica, insieme alla voce della Vibrant. Fin dal primo brano, "Tomorrowless", di ca. 5 minuti di lunghezza, Kyree ci suggerisce che si meriterebbe un podio di lusso nel mondo della musica. Con "Far Away Here" si prosegue sulla stessa cresta d'onda. Segue il brano più lungo dell'album, "Shake Your Head" (7:39), a metà tra art pop e progressive rock, dove il nuovo chitarrista Boris Kalantyr suona un ottimo assolo.
"Igguana" è un altro titolo dalle varie sfaccettature, con la fontman di nuovo dominante ("Igguana" sembrerebbe inizialmente essere una bella canzone cantautoral-sperimentale, e si sviluppa in maniera quasi bizzarra, tra splendidi arrangiamenti di chitarra e tastiere). "Branches" (6:50), canzone meravigliosa, dimostra chiaramente che Mademoiselle Kyree Vibrant ha, giustamente, meritato il paragone con la più celebre Kate Bush, rilasciato da più di un sito specializzato. Si passa poi al funky rock di "Underbelly", che chiude l'album... un po' troppo in fretta per i nostri gusti!
Un gruppo da scoprire e sondare. Da notare il nome italiano del batterista (Roberto Bitti)!
Tutte le cronache iniziano con: "GliHakensi sono formati a Londra nel 2007". In realtà i tre amici di scuola che diedero inizio alla band l'avevano formata già nel 2004, solo che "il lato serio della vita" (ossia lo studio) li separò. Dunque si concentrarono per un po' sui libri. Stiamo parlando di Ross Jennings, cantante, e dei due chitarristi Richard Henshalle Matthew Marshall. Volevano suonare un prog rock moderno ed è quello che cominciarono a fare tre anni dopo, insieme ad altri tre musicisti - tra cui il batterista Ray Hearne.
Nel luglio dello stesso anno (2007) diedero già il loro primo concerto, insieme ai polacchi Riverside. Registrarono un demo - Enter the 5th Dimension e il primo album, Aquarius, era già sulla rampa di lancio. Ogni cosa si presentava promettente; tuttavia, il chitarrista Matthew Marshall e il tastierista Peter ("Pete") Jones se ne partirono per altri lidi. Con i nuovi componenti, il giovane sestetto si esibì ancora, sempre nella zona di Londra; tra gli altri, come supporto ai King's X (a Wolverhampton e Camden, nel gennaio 2009). Nell'ottobre 2009, la band divise il palco con i losangelini Bigelf nel loro tour attraverso il Regno Unito.
Intanto, al posto di Jones era subentrato il tastierista Diego Tejeida. La formazione a questo punto era composta da:
Ross Jennings (cantante), Richard "Hen" Henshall (chitarra, tastiere, cori), Charles Griffiths (chitarra, cori), il suddetto Tejeida, Thomas MacLean al basso e Raymond Hearne alla batteria. Oggi, di quella line up (che compare anche nei credits di Aquarius) sono ancora presenti Jennings, Henshall, Griffiths e Hearne; Peter Jones (il tastierista) è ritornato 4 anni fa circa per sostituire Tejeida, e Corner Green è, dal 2014, il nuovo bassista.
Ross Jennings
Gli Haken sono considerati - e non da oggi! - una delle band più talentuose e autentiche del progressive metal moderno. Sono noti per la loro abilità strumentale straordinaria e per la capacità di fondere in modo assai fluido elementi di progressive rock classico, metal, jazz, pop e perfino djent. Album come The Mountain (2013, il loro primo per Inside Out Music) e Vector (2018) mostrano una grande varietà stilistica, con composizioni complesse ma accessibili.
The Mountain, l'album del 2013
Pur richiamando influenze di gruppi del rango di Dream Theater o Porcupine Tree, hanno un suono distintivo, spesso caratterizzato da armonie vocali ricche e cambi di atmosfera dinamici. Paragonati ad altre formazioni famose, come ad esempio i Transatlantic, gli Haken hanno dalla loro - oltre all'"inglesità", che giustamente viene spesso sottolineata - anche la compattezza degli album. The Mountain o anche Fauna sono focalizzati su atmosfere cinematografiche e melodie accattivanti, pur presentando l'obbligatorio groviglio calcolato di suoni e combinazioni nodali.
Richard Henshall
Raymond Hearne
Haken vs Transatlantic
(Un tentativo di capire le differenze tra i due gruppi)
Mentre i Transatlantic hanno un approccio più ottimista e spirituale, con testi che spesso evocano temi universali o narrativi grandiosi, tipici del prog americano che guarda a un’etica di speranza e trascendenza, gli Haken tendono a esplorare temi introspettivi, surreali o concettuali (es.: Vector, album che parla di esperimenti psicologici), con un tocco di ironia britannica (es.: "Cockroach King", brano che richiama il Re Crimson con un pizzico di umorismo; è molto in stile Queen, a dire il vero).
Gli Haken hanno un sound più moderno e pulito, con una produzione che enfatizza riff pesanti e dinamiche contrastanti.
Di contro, i Transatlantic hanno un suono più caldo e organico, che richiama il prog vintage, con tastiere analogiche e un’atmosfera più "retro".
Haken vs. Dream Theater
Pur essendo influenzati dai Dream Theater, gli Haken prediligono meno i virtuosismi individuali e si concentrano piuttosto sull’equilibrio tra melodia e passsaggi intricati. I loro pezzi sono generalmente più concisi (5-10 minuti, con le ovvie eccezioni) e incorporano elementi non-metal, come pop o elettronica, dando alla musica un tocco più "europeo".
I notissimi Dream Theater, pionieri del progressive metal, come cifra stilistica hanno una tecnica estrema (soprattutto il batterista Mike Portnoy e il chitarrista John Petrucci) e nelle loro composizioni si spingono fino al limite del virtuosismo. È il caso di Images and Words o Metropolis Pt. 2. Il loro sound è più ancorato al metal americano, con riff potenti e assoli spettacolari.
Gli Haken usano testi più astratti o narrativi, con un’ironia sottile e un’estetica che ricorda decisamente il prog britannico (richiami a King Crimson o Genesis). La loro musica ha dunque un tocco di eccentricità e raffinatezza.
I Dream Theater tendono a testi più diretti o emotivi, spesso incentrati su aspetti personali, conflitti interiori o storie epiche, con un approccio che può sembrare più "cinematografico" nel senso hollywoodiano.
Le differenze più evidenti sono nella struttura: gli Haken bilanciano momenti tecnici con melodie accessibili, rendendo la loro musica più immediata per un pubblico moderno, mentre i Dream Theater spesso si lasciano andare a lunghe sezioni strumentali e alle già accennate dimostrazioni di abilità tecnica.
Haken vs altri gruppi
Rispetto ad altre band prog/metal americane come Spock’s Beard (più melodici e vicini al prog rock classico), Symphony X (più sinfonici e power metal) o Tool (più oscuri e atmosferici), gli Haken si distinguono per il sound più eclettico, che spazia tra generi senza rimanere ancorati a un’unica corrente o a un unico genere. Anche la raffinatezza melodica è evidente:in confronto al prog americano, che tende a essere più diretto o enfatico, gli Haken hanno una sensibilità melodica più delicata e stratificata.La loro è una produzione che si rivolge sì ai fan del prog classico, ma forse soprattutto a un pubblico giovane abituato al metal contemporaneo. Il loro output è meno “epico” o “grandioso” in confronto a quello di band come Symphony X.
Fauna, del 2023
L’“inglesità” degli Haken è evidente?
La loro origine britannica si percepisce certamente, anche se non è sempre esplicita come in band prog classiche quali Genesis o Yes. Essa emerge grazie all'eccentricità e all'ironia. Gli Haken hanno infatti un senso dell’umorismo e un gusto per il surreale che può essere quasi solo britannico! I loro testi spesso giocano con immagini bizzarre o concetti intellettuali, tipici appunto della tradizione inglese.
Come già detto, è abbastanza evidente che il loro suono sia stato plasmato dal prog britannico. Così, nella musica degli Haken sentiamo risuonare echi non solo dei Genesis (nelle armonie vocali) e dei King Crimson (nella sperimentazione), ma anche dei Porcupine Tree (nell’atmosfera moderna).
Estetica visiva e concettuale
Le copertine dei loro album (es. The Mountain o Affinity) e gli argomenti trattati hanno un’aura “artistica” e intellettuale che si allinea con la tradizione del prog inglese, più che con l’approccio spesso più viscerale o narrativo degli americani.
Performance dal vivo
I loro concerti sono molto apprezzati per l’energia e la precisione, con una fanbase fedele che ne loda l’impatto dal vivo.
Evoluzione
Ogni album tende a esplorare nuove direzioni, mantenendo un equilibrio tra sperimentazione e melodie memorabili. Il loro ultimo full-lenght, Fauna (2023), ha ricevuto ottime recensioni per la sua ambizione e coesione. (Interessante anche l'EP Lovebite, dello stesso anno.)
Storia o meglio non-storia del nome
A differenza di gruppi con nomi legati a concetti filosofici o letterari (i già citati Genesis e King Crimson, i Van der Graaf Generator, i Gentle Giant...), gli Haken hanno scelto un nome più astratto, lasciando che sia la loro musica a definire la loro identità.
Sono state formulate varie ipotesi, ma il nome "Haken" non ha un significato specifico o chissà che elaborata genealogia. Secondo quanto è stato riportato in varie interviste dagli stessi componenti, la denominazione è stata scelta principalmente perché "non suona male", perché ha un impatto fonetico e, nel contempo, per la sua semplicità.
Qualcuno ha notato che, in tedesco, "Haken", significa "gancio", "uncino". In effetti questo sarebbe un vocabolo che riflette l'obiettivo dei londinesi di creare musica "accattivante" (hooky, in inglese), con melodie che catturano l’ascoltatore, anche in presenza di strutture intricate. Tuttavia, nessuno della band ha mai dichiarato esplicitamente la connessione del nome con il termine tedesco. Fino a...
Nell'agosto 2019, il programma 'Rock et cetera' della Deutschlandfunk ha trasmesso un ritratto dettagliato della band (durata: un'ora). È stata una delle tante occasioni per domandare al frontman, Ross Jennings, il significato di "Haken". Jennings ha spiegato che originariamente avevano scelto la denominazione "Haaken", poiché suonava come se provenisse dalla mitologia nordica, per poi appunto trasformarla in "Haken" ("gancio in lingua tedesca").
La Germania è la seconda patria di molti artisti anglosassoni e lo è diventato fin da subito per gli Haken. Ottenuto un contratto da Sensory Records, hanno potuto registrare il loro album di debutto proprio in Germania, presso gli Spacelab Studios di Christian "Moschus" Moos, a Kempen. Anche il mastering è avvenuto in Germania, nello Eroc’s Mastering Ranch, esistente fin dagli Anni Sessanta. (Responsabile: Joachim Heinz Ehrig, conosciuto come Eroc, tra l'altro batterista dei Grobschnitt.)
Vari concerti seguirono nel 2010, insieme a (per citare due nomi) Karmakanic e Agents of Mercy. Nel settembre 2011 gli Haken si esibirono negli U.S.A. nella cornice del 'ProgPower' e lo stesso anno (a novembre) suonarono con Threshold e Vanden Plas. Nel frattempo, sempre per Sensory Records, ecco uscire il loro secondo lavoro, Visions.
“Drowing in the Flood”
Il cantante Ross Jennings, sui primissimi passi della band e il primo album Aquarius, ha dichiarato:
"Dopo le demo, eravamo ben consapevoli di essere una band prog rock e prog metal e sentivo che dovevamo fare una dichiarazione chiara e programmatica con l'album di debutto: doveva essere un concept possibilmente perfetto. Così, ho lavorato a stretto contatto con Richard, che ha scritto la musica, e ho ideato la storia e i testi. Inizialmente parlava di acqua, poi è diventata una storia sul riscaldamento globale, sulle inondazioni. E quindi sono entrati in gioco i personaggi. Aquarius si è evoluto in modo abbastanza naturale".
Charlie Griffiths spiega: "Con il progressive puoi fare qualsiasi cosa, è una tela bianca. Ciò, da una parte può rivelarsi un problema, perché a volte diversi pezzi non si incastrano. Ultimamente, sono stato molto attento ad assicurarmi che la musica fosse coerente, che una canzone fosse coerente, ma in Aquarius ci sono molti cambiamenti bruschi. Se dovessimo ri-registrarlo ora, proverei a dividerlo in brani più brevi invece che in lunghe 'suite'. Ma è così: si vive e si impara".
“Celestial Elixir”
Charlie Griffiths: "Nel secondo album, che la band ha registrato un anno dopo, i brani arrivano al dunque più rapidamente, ma il suono è lo stesso. E Visions, così come Aquarius, è un concept".
Ross Jennings: "Non era previsto all'inizio, ma sono venuti fuori appunto due concept album già in partenza. Però volevamo rimanere più sul lato prog metal, attenerci al sound orecchiabile e stare attenti a non mescolare gli stili in modo irregolare. La differenza di Visions rispetto al primo album è questa. Ma è pur sempre un concept, e se devo spiegare la storia... Dio mi aiuti! È basata su un sogno che ho fatto. 'Premonition' parla di una premonizione, di qualcuno che "si vede morire". Mi son chiesto: e se succedesse davvero? Potrei influenzare il mio destino?"
Charlie Griffiths: "Per una band come la nostra, a volte è più difficile scrivere canzoni non troppo tecniche, con un riff o un assolo dietro l'altro. Noi, in questo caso, volevamo semplificarle, con un semplice cambio di accordi e una bella melodia. E penso che abbia funzionato con 'Deathless': mi piace la canzone!"
Ross Jennings: "È una ballata, ma posso assicurarvi che non è una canzone d'amore. È piuttosto triste, però molto bella da suonare, e i fan la vogliono ascoltare spesso".
“Deathless”
Consiglio dell'esperto
Prima di The Mountain, gli Haken erano ormai una chicca tra gli appassionati di progressive, considerati una delle migliori band dal vivo sulla scena. Avevano suonato insieme a King's X, Anathema, IQ e Dream Theater. Le aspettative per il terzo disco erano grandi. Nei primi due, Jennings si occupò dei testi e Henshall della musica: questa volta il processo creativo fu più democratico. Tutti i membri scrissero i testi. E, sebbene The Mountain sia chiaramente rock progressivo con forti riferimenti alla musica degli anni '70, Haken vi inserisce elementi di altri generi come ambient, soul, jazz ed elettronica. "Questa volta, la posta in gioco per la band era alta" afferma il chitarrista Charlie Griffiths.
Per The Mountain arrivò un contratto con InsideOut Music (la label sotto cui ancora sono). The Mountain contiene "Cockroach King", di 8 minuti, uno dei loro brani più noti e amati in assoluto.
Il 25 settembre 2013 gli Haken annunciarono che il bassista Tom MacLean si separava da loro. Un'altra separazione sarebbe arrivata nel novembre 2021: quella di Diego Tejeida. E ciò segnò il ritorno del tasterista originario Peter Jones (attenzione: esiste un altro tastierista inglese con quel nome, Peter e/o Pete Jones, anche lui bravissimo: è quello noto per il progetto Tiger Moth Tales...).
Vector, 2018
Discografia
Album in studio
2010: Aquarius (Sensory Records)
2011: Visions (Sensory Records)
2013: The Mountain (InsideOut Music)
2016: Affinity (InsideOut Music)
2018: Vector (InsideOut Music)
2020: Virus (InsideOut Music)
2023: Fauna (InsideOut Music)
Album dal vivo
2018: L-1VE (InsideOut Music)
2018: L+1VE (solo vinile e come download; InsideOut Music)
2025: Liveforms: An Evening With Haken (InsideOut Music)
Altre pubblicazioni
2007: Demo (pubblicazione in proprio)
2008: Enter the 5th Dimension (demo, pubblicazione in proprio)