1/21/22

P.F.M. - 'Live in Japan' (Auguri, Franz Di Cioccio!)

 Happy Birthday, Di Cioccio!

21 gennaio 1946: nasce Renzo "Franz" Di Cioccio, batterista (e cantante) della P.F.M.

È l'unico componente originale della Premiata che è tuttora nella band (sin dal 1971, dunque). Il secondo membro più longevo è il bassista Patrick Djivas, seguito da Lucio Fabbri (violino, tastiera, chitarra).

Ex componenti: Franco Mussida (chitarra, voce), Flavio Premoli (tastiera, voce), Mauro Pagani (strumentazione varia), Bernardo Lanzetti (voce) et alia.



 Premiata Forneria Marconi, 1972

"Dopo la morte di Bonham, mi volevano i Led Zeppelin..."

Franz Di Cioccio si racconta in un articolo uscito per il suo 75. compleanno sul giornale dell'Aquila L'Impronta. Un'intervista con diversi aneddoti e ricordi narrati dal celebre batterista.



Video: P.F.M. - 'Live in Japan 2002'

Franz Di Cioccio - batteria, percussioni e voce

Patrick Djivas - basso

Franco Mussida - chitarra, voce

Flavio Premoli - tastiere, voce

Piero Monterisi - batteria

Lucio Fabbri - violino, tastiere e chitarra

Peter Hammill - voce su "Sea Of Memory"


Tracce del disco

   CD 1


1. Sea of Memory

2. Bandiera bianca

3. La carrozza di Hans

4. Rain Birth (Intro to the River)

5. River of Life

6. Photos of Ghosts

7. Peninsula

8. Out of the Roundabout

9. La rivoluzione

10. Suonare suonare

11. Promenade the Puzzle

12. Tokyo piano solo

13. Dove...quando (part 2)

14. Dove...quando


   CD 2


1. Il banchetto

2. Dolcissima Maria

3. Maestro della voce

4. Si può fare

5. Mr 9 till 5

6. Scary Light

7. Tokyo Wlectric Guitar Jam/Altaloma 5 till 9

8. Tokyo Violin Jam (part 1)

9. Rossini's William Tell Overture

10. Tokyo Violin Jam (part 2)

11. Impressioni di settembre

12. È festa (Celebration)

13. La luna nuova (Four Holes in the Ground)

 

 Franz Di Cioccio      
       




Leggi anche l'articolo del Corriere della Sera (Roma) del dicembre 2021 su Franz Di Cioccio, Patrick Djivas e 'Pfm canta De André e prepara il tour per i cinquant’anni di carriera'


 Slow Feet


Pochi li conoscono, ma i Slow Feet sono un gruppo eccezionale. 

I componenti: Paolo Bonfanti, Vittorio De Scalzi, Franz Di Cioccio, Lucio Fabbri, Reinhold Kohl. Il loro disco si intitola Elephant Memory.

E uno dei brani ivi contenuti è "White Room", bella versione della celebre canzone dei Cream.




...Da gennaio si volta pagina con il nuovo tour che ripercorre 50 anni della carriera di Di Cioccio e della P.F.M.: dal primo album Storia di un minuto fino all’ultimo Ho sognato pecore elettriche. Concerti "dove metteremo non solo le canzoni ma anche tutto quello che abbiamo imparato fin qui."





1/19/22

Come annunciato... 'L'Alba della Civiltà' (Odessa)


L'Alba della Civiltà



Attention attention! Sta per uscire L'Alba della Civiltà (Lizard Records).

Gli Odessa (band con radici blues-rock / classic rock che sa toccare tutti i tasti, dalle ballate romantiche ai brani più hard) hanno finora licenziato tre album.

Stazione Getsemani, 1999, Mellow Records. Il disco consiste di 9 tracce e contiene due riuscitissime cover: "Caronte" di The Trip e "Alzo un Muro Elettrico" de Il Rovescio della Medaglia.
       (Nostra recensione.)

Final Day, che uscì nel 2009 per Lizard and Andromeda Records. (Ottima recensione su Truemetal.) 

L'Alba della Civiltà, il terzo album in oltre vent'anni di esistenza del gruppo: 2022. Ed è di esso che parleremo in questo articolo.

 

 

Un disco ogni decina di anni: eh sì, la vita ci pone di fronte a delle scelte... Vedi il nostro servizio su Lorenzo Giovagnolitastierista e cantante della band.



L'Alba della Civiltà: rock muscoloso con venature prog, come lo conosciamo dall'ormai storico ensemble marchigiano. Contiene anche una versione inedita di "L'Anno, il Posto, l'Ora" (Pooh).
(I Pooh, nel 1972, suonarono il brano sul palco in una versione più veloce e più rock di quella che conosciamo da Parsifal. C'era ancora Riccardo Fogli. Questa prima versione della canzone, solo live, nella quale una delle strofe è cantata da Fogli al posto di Canzian, ha un testo diverso dalla versione definitiva. Il ritornello, ad esempio, non recita altro che la frase in inglese "Yesterday is gone". Gli Odessa hanno ripreso proprio questa versione, addirittura arricchendola, musicalmente, secondo il loro stile.) 


A Pesaro e dintorni, dove la band è "based", il virus ha imperversato impietosamente durante il divenire dell'album. Anche da qui il procrastinare della pubblicazione, la quale comunque è stata anticipata da alcuni appetizers.

   "Rasoi"

Gli arrangiamenti dei singoli pezzi sono curati come non mai, le voci sono state ripetute e registrate più volte affinché suonassero come Giovagnoli desiderava. Davvero: qua, nei vocals, c'è tutto il bagaglio del cantante degli Odessa. Lui ha iniziato con i musical...

   "L'Anno, il Posto, l'Ora"

La collaborazione tra i musicisti è spesso avvenuta, giocoforza, in modalità remota. È una produzione digitale, però realizzata usando tutte le sonorità analogiche. Dal punto di vista delle tastiere, oltre al Kurzweil, che Lorenzo Giovagnoli usa sin dal 2001, si segnala l'impiego di emulatori Hammond, di Roland, di GSI (italiani, eccezionali) e IK Multimedia. Poi: Fender Rhodes e Wurlitzer, con tremolo e riverbero a molle.




Per il piano, un emulatore a livelli fisici, Pianoteq. E per gli archi i modelli Anni '70 analogici: Roland Jupiter, Solina, Roland Juno. Inoltre anche organi a transistor Farfisa.
Per un brano solo voce, tastiere e flauto, ad esempio, c'è un organo a transistor che passa per un Leslie e un riverbero a molle. Dà un'idea un po' inquietante stile fantascienza Anni '60. 
Importanti e riconoscibili le influenze, gli amori musicali di Giovagnoli e degli altri membri (attivi anche in altri progetti; Marco Fabbri ad esempio ha suonato con The Watch...). Il brano dal titolo "Invocazione" ha, nella parte centrale, quello che è praticamente un omaggio ai Pink Floyd e a Morricone.

    "Invocazione"

                                                                                  Il brano anche su Bandcamp!


 

Odessa - formazione attuale

- Lorenzo Giovagnoli / vox and keys
- Giulio Vampa / guits
- Valerio de Angelis / bass
- Marco Fabbri / drums
- Gianluca Milanese / flute 


    "Di buio e luce" 1999

   

Ne L'Alba della Civiltà c'è anche un "Di buio e luce (parte 2)" (che segue di un ventennio la prima parte, quella presente in Getsemani)



Odessa su Bandcamp... 


... e su Facebook






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1/16/22

I Popol Vuh e 'Aguirre, furore di Dio'

Popol Vuh: Aguirre, soundtrack dal film di Werner Herzog Aguirre, der Zorn Gottes (1972)



 
  
 L'attore Klaus Kinski






Chi erano i Popol Vuh lo racconta questo articolo da Zerovirgolaniente:





"La musica è il mezzo che mi aiuta ad avvicinarmi in modo realistico all'utopia".

                                (Florian Fricke, 1944-2001)
  


Fricke nacque il 23 febbraio 1944 in una cittadina sul Lago di Costanza, e più precisamente a Lindau, sul confine austro-svizzero. Iniziò a suonare il pianoforte a sette anni e, dopo gli studi al Conservatorio di Friburgo, lavorò come critico musicale e cinematografico per la Süddeutsche Zeitung, Der Spiegel e la Neue Züricher Zeitung. Mentre si ingegnava a girare alcuni corto- e mediometraggi, divenne amico dell'allora aspirante regista Werner Herzog. Fricke partecipò al primo film ufficiale di Herzog, Segni di Vita (Lebenszeichen): come assistente tecnico e come attore, nel ruolo di un soldato che suona Chopin.




Il misticismo di Fricke. Quest'opera (già del 1983) ha un titolo che, tradotto, suona così: "La Terra e io siamo un tutt'uno"


Di lui esistono poche fotografie, tanto era schivo. Una delle poche che fece inserire nelle copertine dei primi album lo ritrae durante un concerto in posa contemplativa.

E "contemplativa" è proprio l'aggettivo più adatto per descrivere la musica del gruppo formatosi intorno a questo notevole rappresentante della moderna avanguardia.


Il luogo era Monaco di Baviera e l'anno il 1969 quando, ad opera di Florian Fricke (tastiere), Holger Trülzsch (drums) e Frank Fiedler (sintetizzatore), nacquero i Popol Vuh. Fricke, appassionato di culture e religioni antiche, scelse come nome quello del libro sacro degli indiani Quiché del Guatemala.


[N.B.: c'è anche un gruppo progressive norvegese che scelse di chiamarsi così, e questa circostanza provocherà una certa confusione almeno fino al 1975, quando Florian Fricke minacciò di ricorrere a vie legali contro i "colleghi" nordeuropei. Questi altri Popol Vuh (autori, almeno ad inizio carriera, di un interessante rock psichedelico con influenze genesisiane), riconobbero di essere "arrivati secondi" e si ribattezzarono Popol Ace.]




Amante della musica elettronica, Fricke fu uno dei primi a voler sfruttare le potenzialità del moog, che allora pochissimi possedevano non solo perché costava una fortuna ma anche perché assai ingombrante.


 L'LP del debutto, Affenstunde, che i Popol Vuh pubblicarono nel 1971 per la Liberty (al tempo la label tedesca più progressiva - basti pensare che aveva sotto contratto Amon Düül II e CAN), consisteva in "Kosmische Musik" mista a percussioni etniche. A produrre l'album furono l’americano Gerhard Augustin (titolare della Liberty) con la moglie di Florian, Bettina, responsabile anche della maggior parte delle scelte grafiche nelle copertine dei dischi.

In Germania c'erano già diversi folletti siderali, tutti figli putativi di
Karlheinz Stockhausen (Ash Ra Temple, Klaus Schultze, Tangerine Dream, i suddetti Amon Düül, e inoltre Jane, Neu!...), tuttavia i Popol Vuh si differenziavano per la componente misticheggiante. Se il loro tipo di musica rientrava nel Krautrock, ciò accadeva solo per via della locazione geografica. In realtà nel loro caso non si può parlare nemmeno di rock. Le sperimentazioni sonore dei Vuh  sembrano scaturire da una cattedrale sotterranea; come Haydn in un concerto onirico di formiche tibetane.


 Anche il secondo disco - In den Gärten Pharaos; per l'etichetta OHR-Pilz - ricorda perlopiù i Tangerine Dream dell'èra Alpha Centauri / Zeit (cosa che non deve sorprendere, dato che fu proprio Fricke a "presentare" il Moog III ai Tangerine, suonandolo come guest player in Zeit) o, come nota Piero Scaruffi, i Pink Floyd di A Saucerful of Secrets (soprattutto nel secondo dei due lunghi brani, "Vuh", registrato nella cattedrale di Baumburg).


Subito dopo i suoni diventano più eterei, gli accordi celestiali, in un'unità di antico e moderno, di sacro e profano. Fricke rinuncia all'elettronica. "Non voglio usare il sintetizzatore per riprodurre la musica religiosa cristiana" spiegherà in un'intervista del 1972. "Pur tuttavia, la nostra non può essere definita 'musica da chiesa', a meno che non consideriate il corpo come un tempio sacro e le orecchie come porte". Con lui ora collaborano il chitarrista/percussionista Daniel Fichelscher (ex Amon Düül II; Fischelscher parteciperà a oltre una dozzina di incisioni dei Popol Vuh) e la soprano coreana Djong Yun. Testi e suoni si ispirano non solo a passi della Bibbia e di altri testi sacri delle religioni mondiali, ma anche a visioni dei popoli dell'Himalaya e ai canti dei Curdi della regione dell'Eufrate.


La svolta minimalistica è segnata da Hosianna Mantra, a base di pianoforte (Fricke), violino (Fritz Sonnleitner), oboe (Robert Eliscu), chitarra (Conny Veit) e tamboura (Klaus Wiese). Come suggerisce il titolo, è un album in cui si fondano miti orientali e leggende cristiane.




 Il successivo Seligpreisung (Kosmische Musik, 1973) approfondisce lo studio intorno alle possibilità dei mantra pur avvalendosi di estratti dal Vangelo di Matteo, condendo la formula con maggiore dinamismo e un tocco di psichedelia grazie agli assoli di Fichelscher.


 Quindi è il turno di un’altra opera miliare a titolo Einsjäger & Siebenjäger (1974, per l’italiana PDU e per la tedesca Kosmische Musik), con veri e propri inni alla gioia ("King Minos") e ambiziose composizioni bagnate nel lago di un progressive mai fine a se stesso (i venti minuti della traccia di chiusura che dà il titolo all'album).


Con il successivo Das Hohelied Salomos (United Artist, 1975) si mettono in musica alcuni dei Salmi del Re Salomone. E' l'album in cui si registra il ritorno della soprano Yun. La proto-world-music di Fricke si inabissa nelle atmosfere di epoche e paesaggi remoti con l'ormai sperimentato connubio tra grandiosità wagneriana e momenti di raccoglimento meditativo (un rigore giustificato dalla sua passione per il medioevo e per il misticismo di origine soprattutto asiatica). In questo periodo il Nostro si decide a vendere il gigantesco e ormai inutilizzato moog modulare all’amico Klaus Schulze, che, come sappiamo, ne farà buon uso.


 Il primo concerto all'estero dei Popol Vuh avviene a Milano nel 1976. E' anche l'anno dell'uscita di Letzte Tage - Letzte Nächte (United Artists), con il quasi-pop ritmato della titletrack cantato da Renate Knaup degli Amon Düül II, e Yoga, registrazione di due jam sessions con musicisti indiani, pubblicata dall’italiana PDU dapprima illegalmente e poi ufficializzata (è riscontrabile infatti nel catalogo della band).


Dal 1978 il gruppo torna sotto la supervisione di uno dei loro primi scopritori, il produttore Augustin. Ma Fricke, già allora amareggiato nei confronti del mondo discografico, guadagna uno scampolo di indipendenza mettendosi a comporre colonne musicali insieme a Fiedler e intraprendendo con lui e altri amici fidati viaggi intorno al mondo.


Brüder Des Schattens, Söhne Des Lichts (Brain, 1978) sarà il punto di partenza per la realizzazione
della colonna sonora del Nosferatu di Herzog. L’omonima suite d’apertura è forse uno degli episodi più ispirati e riassuntivi di tutta la discografia frickiana: paesaggi metafisici e spaziali vengono solcati dal pathos primordiale proprio di tutti gli umani. Il passo successivo è l’oscuro e, sì, depressivo Die Nacht Der Seele - Tantric Songs (Brain, 1979), nel quale alcuni intravedono le prime stanchezze compositive dell'ensemble e del suo leader. Grazie alla magniloquenza delle cento voci della Corale dell’Opera Bavarese, Sei Still, Wisse Ich Bin (‘81, per la Innovative Communication di Schulze) fa sperare a un secondo decennio ricco di opere memorabili. Purtroppo il successivo Agape-Agape (Uniton, 1983) porgerà il fianco alle accuse di manierismo spirituale. Si
tratta di composizioni indianeggianti poco brillanti, buone giusto per esercizi di yoga casalingo: insomma, proprio quella New Age che Fricke sconfessò fin dall'inizio. Spirit Of Peace (Cicada, 1985) e For You And Me (Milan, 1991) seguono la stessa linea. Sono dischi in tutti i sensi lenti, sia pure immersi in una certa solarità bucolica.

 A metà degli Anni Novanta c'è un'impennata, una sorta di come back non privo di fascino, con City
Raga, album che utilizza l'angelica voce di Maya Rose, un'esperta delle tecniche di respirazione originaria dello Yucatan.


A questo punto inizia l'èra della "modernizzazione": nella musica dei Popol Vuh subentrano i suoni dell'universo techno, per via anche dell'apporto del nuovo componente, il tastierista Guido Hieronymus. Nel 1999 l'ultimo album: Messa di Orfeo (Spalax, 1999), risultato di uno spettacolo multimediale al festival d’Arte Contemporanea di Molfetta (Bari), con il recitato dell’attrice Guillermina De Gennaro e una serie di improvvisazioni d’atmosfera che inseguono utopiche estasi.


Il resto della discografia consiste in raccolte e in alcuni "mix" ad opera di Gerhard Augustin. Un posto di merito, in questa lista, occupano le colonne sonore per i film herzogiani.


Si parte con Aguirre, furore di Dio (il disco porta il titolo Aguirre; 1976, Cosmic Music), nel quale l'eternamente spiritato Klaus Kinski, "pallino" del regista bavarese, si cala in maniera naturale nell'identità di un caposoldato folle. Dopo è la volta del documentario La grande estasi dell’intagliatore Steiner, la cui colonna sonora non è mai stata ufficialmente pubblicata su CD. Vediamo indi un Florian che già mostra i segni dell'invecchiamento fisico apparire personalmente nella pellicola L’enigma di Kaspar Hauser, vestendo i panni di un pianista cieco in una lacerante interpretazione dell’Agnus Dei.

La collaborazione tra il regista e il compositore prosegue con
Cuore di vetro (Herz aus Glas; 1976), Nosferatu (1978), lo stupendo Fitzcarraldo
(1979), Cobra Verde (1990) e Grido di Pietra (Cerro Torre: Schrei aus Stein; 1991).

Tra queste, Nosferatu è sicuramente l’opera più riuscita per quanto riguarda la simbiosi tra le immagini del film e lo stupore estatico di una musica mai, per fortuna, didascalica
.


Con la precoce morte di Florian Fricke avvenuta il 29 dicembre 2001 a causa di complicazioni dopo un infarto, termina la storia dei Popol Vuh; ma il seme delle loro idee prosegue a germogliare. Non è New Age; non è vera e propria World Music. "Chiamatela, se preferite, musica per lo spirito." 





POPOL VUH - Discografia essenziale


1970 Affenstunde (Liberty, Ger)

1971 In den Gärten Pharaos (Pilz, Ger)

1972 Hosianna Mantra (Pilz, Ger) 

1973 Seilegpreisung (Kosmische Musik, Ger)

1974 Einsjäger & Siebenjäger (Kosmische Musik, Ger)

1975 Das Hohelied Salomos (United Artists, Ger)

1976 Letze Tage - Letze Nächte (United Artists, Ger)

        Yoga (PDU, Ita)

1979 Die Nacht Der Seele - Tantric Songs (Brain, Ger)

1981 Sei Still, Wisse Ich Bin (Innovative Communication, Ger)

1982 Agape–Agape (Uniton, Nor)

1985 Spirit Of Peace (Cicada, Nor)

1991 For You & Me (Milan, Fra)

1995 City Raga (Milan, Fra)

1997 Shepherd's Symphony (Mystic Records, UK)

1998 Messa di Orfeo (Spalax, Fra)




Soundtracks, soundtrack-compilations


1974 Aguirre (OHR, Ger)

1976 Herz Aus Glas - Coeur De Verre (Brain, Ger)

1978 On The Way To a Little Way - Nosferatu (Egg, Fra)

         Brüder Des Schattens - Söhne des Lichts (Nosferatu) (Brain, Ger)

1982 Fitzcarraldo (Pilz, Ger)

1987 Cobra Verde (Milan, Fra)

1993 Best of Popol Vuh – From Films of W.H. (Milan, Fra)

1994 Movie Music (Weltbild Verlag, Ger) 

1996 Soundtracks from Werner Herzog (3 cd box) (Spalax, Fra)

2005 Coeur de Verre (SPV, USA)








1/15/22

Mirko Jymi ossia l'esploratore Orfeo

The Trys - Distant Lands  (Negozio Ebay)  


  Planets  (Negozio Ebay)

      The Trys - Demo Album 1991  (anche questo disponibile su Ebay

Moments of Reflection (ordinalo qui)


Abbiamo a che fare con una visione modernista, e sperimentale per tanti versi, della musica rock. E della musica tout court. Un'integrazione di linguaggi diversi, senza la componente compiacente e crudelmente buffonesca dell'artista di cassetta.
Come sarebbe facile ora far partire una ballata rock! Ma la musica di Mirko Jymi rimane ricerca, e anche casualità; cosa, quest'ultima, che è un elemento non indifferente dell'avanguardia. 
È un discorso comunque che vale fino a Planets. Di recente (2021) è uscito Moments of Reflection, che, pur basandosi su ambient e fusion, è sicuramente un disco tipicamente progressive rock.


    First is best? Il debutto (2004) del MirkoJymiMusicalProject  

Dunque: la ricerca insita al MirkoJymiMusicalProject, al Mirko Jymi del tempo di The Trys e a quello del successivo Planets, è musica aleatoria, da una parte limitata ad alcuni parametri fissati dal compositore in partenza, dall'altra affidata alla sostenibilità e alla forza di resistenza dello strumento, degli strumenti usati. Ossia: sintetizzatori Korg, Yamaha CS-80 analog, Minimoog, Poly Moog, Hammond, Arp Odissey...
Abbiamo, a immediata disposizione, due album (in formato fisico): Distant Lands e Planets.
Se il primo CD, quello di The Trys (1995), evoca lunghi binari e foreste dense  (il viaggio come esperienza centrale!), il secondo, Planets appunto, pubblicato con il moniker "MirkoJymiMusicalProject" e che ha ugualmente la caratteristica di essere di ottima fattura e contenente bellissime grafiche e un delizioso libretto, già ci fa staccare dalla Terra, ossia dall'astronave madre, e ci porta nello spazio.

***


The Trys - Distant Lands  

Album di fusion, strumentale, contenente due tracce:

"Start Of The Journey" (12 min.)

"Distant Land Suite" (41 min.)

a) Set put on a long Journey
b) Long Trail -- Dense Woods
d) An enchantnebt of streams
e) Deer Wolves Eagles, Watching You
f) The Journey Continues
g) Fatigue Makes Itself Felt
h) Finally Break
i) Resume The Journey
l) End Of The Journey Peace


Ci sono molte figure musicali completamente sconosciute al grande pubblico ma importanti perché hanno contribuito e contribuiscono all'evoluzione della musica. In questo album del 1995, Mirko Jymi mostra già l'uso anticonvenzionale di ritmo, melodia e armonia. In pratica, l'artista ha accorciato la scala dei suoni... nel contempo esplorandola in profondità.
Tu pensi: wow, qui siamo tra Schönberg e Shostakovich! Poi parte il secondo brano - che è in realtà una lunga suite suddivisa in 10 parti - e il tuo udito avvezzo al pop già si allieta per l'inizio che fa pensare a qualche brano dalla melodia corrente, orecchiabile, ma anche in questo caso: la melodia c'è, però insiste su dissonanze. È una ricerca seria, seriosa, con brani che a tratti defineresti monocordi - su scala locria - ma che vanno a svilupparsi in maniera sorprendente. Tutto molto creativo, artistico. E, pian piano, la parte colta e curiosa di te torna a svegliarsi.

Tra vibrafoni e chitarre sintetiche, tra mugugni e ululati di questo o quel moog e parti corali varie, si sentono il basso di Enrico Antonelli (anche Moog Taurus, effetti sonori) e la batteria e le percussioni di Marco Alberti. Jymi stesso suona sintetizzatori Korg, Yamaha CS-80 analog, Minimoog, Poly Moog, Hammond, Arp Odissey, piano elettrico, clavinet (il cui suono è analogo a quello della chitarra elettrica), vibrafono, chitarra elettrica Steinberg, basso, loops, effetti...
Il primo brano ha già tutte le caratteristiche della musica classica moderna, dicevamo. Non mancano le atonalità; eppure, qua e là vengono a inserirsi linee di melodie e ben sonanti triadi. Ma il viaggio vero "decolla" con "Set put on a long Journey", la prima delle dieci sezioni della suite
Mentre finora era stata lasciata da parte, apposta, la risoluzione cadenzale, e avevamo registrato l'insistere sulla nota iniziale (che dà l'impronta all'intera composizione), qua abbiamo una virata verso soluzioni di bellezza, anche se ricercata. Ma non illudetevi che si vada a parare sul regalo di un easy listening! Valvole rotative e qualche componente di metallurgia producono bits e bytes di musica che rimane - sì - recherche. E che ci fa riflettere sulla correlazione tra l'udito e gli altri sensi.

È, insomma, un'opposizione voluta e cosciente alla musica leggera o musica popolare. Si tratta di inni e canti assolutamente riconoscibili come moderni, e non solo per l'impiego dell'elettronica. Eppure, nel vento dei suoni pare di ascoltare qualche zufolo assiro-babilonese, qualche lyra. Il satiro suona, appare, poi torna a nascondersi...


Planets    


Anche Planets (c'è, nella confezione, insieme al CD audio, pure il DVD, che è pieno di immagini futuristiche e spaziali, per aumentare l'esperienza di assimilazione) è chiaramente ricerca; ricerca di un metodo che riconosce - come scrittura convenzionale - solo il tempo, semmai, e dà voce soprattutto agli strumenti elettrofoni. Questo prodotto, come quell'altro, si stacca dalla pretesa di semplice musica cameristica per dare voce a paesaggi, dimensioni polifone, fughe piene di colori. Con meno sonate sciancate e più paesaggi sferici.
Inizia con 4 minuti di ascesa lenta, tra piccole scosse, microsismi, prima che "Cybernetics Part I" assuma una chiara connotazione prog. Si interrompe bruscamente (come se il nastro fosse stato tranciato di netto) e parte "Cybernetics Part II" con ben altri suoni: adesso siamo in un luogo di metallo, ci sono i cigolii di un'astronave e pure qui, a 1:22, parte un jazzrock / prog-jazz di buona fattura. ancora un'interruzione brusca e comincia una sinfonia ariosa: "The Space".
L'opera prosegue così, con entrate e uscite non scontate. Una musica abbastanza varia e immaginifica, certo, sempre sotto l'egida di macchine neuroinformatiche e del "trip" attraverso il nostro sistema solare e oltre. (Godetevi il DVD, ove la grafica - un susseguirsi di diapositive - fa il paio con i suoni.)





Conversazione con l'artista

Mirko Jymi, tastierista italo-brasiliano, ci illustra con simpatico accento romanesco:

MirkoJymiMusicalProject è il mio progetto ambient e risale al 2004. Lo sto rispolverando... Sono inoltre impegnato nella ristampa degli album di The Trys, la mia vecchia band, e ho iniziato una buona collaborazione con Alessandro Serravalle [N.d.R.: chitarrista, tastierista, cantante... vedi Officina F.lli Serravalle, Garden Wall, Il Testamento Degli Arcadi et alia]. Per il 2022,  spero di concretizzare un grande progetto jazz rock fusion che ho in mente da un po’ e che vede la collaborazione di famosi artisti internazionali.




Nota:
Mirko fa la spola tra Roma e Salvador de Bahia (e anche Sao Paolo). Ed è spesso il Brasile a dargli ispirazione per i suoi nuovi progetti. Tra le collaborazioni "italiane", oltre ad Alessandro Serravalle Mirko ha contatti con Francesco Chiummento, l'ultimo disco del quale è stato prodotto dallo stesso Mirko Jymi oltre che da Paolo Ricca e Alex Catania. Inoltre, c'è in vista la pubblicazione su vinile di molti suoi lavori, e un DVD dei vari 'live'.

Tra una domanda e l'altra al Maestro, torniamo ad ascoltare un po' della sua musica. Ora è come uno scivolare nello spazio ove qua e là si coglie lo stridore della navicella, con cambiamenti quasi impercettibili nella trama dei bits e bytes. E poi ci sono brani come "Improvisation Part 3" di grande forza immaginativa, con il modularsi di sottotrame che arricchiscono il "motivo" principale, in uno sbocciare di sempre nuovi rami. Non più ambient ma già prog-rock. Un elettro-viaggio. Con le note sostenute a punteggiare il ritmo, nello svilupparsi di pattern nuovi.

La sua musica è una gioia per gli audiofili: con questi prodotti sonori, si potrebbero mettere alla prova i diversi sistemi di riproduzione... a parte farne il soundtrack delle nostre attività quotidiane. 


    The Trys, dall'album Darkness del 1993. 
Con Marco Alberti (drums and percussion) ed Enrico Antonelli (bass, guitars, Moog Taurus, effects)  

    "Life On Mars" (dall'album Planets, 2020)  

    MirkoJymiMusicalProject - "Tribal Dance"  

 Dice Mirko:

Cerco sempre di spaziare tra vari generi... come tra l’altro ho sempre fatto nel corso della mia carriera. L’idea per Moments of Reflection mi è venuta una sera in studio in Brasile mentre facevo dei fraseggi al pianoforte. Ero lì quando così all’improvviso ho deciso che avrei fatto un album strumentale di progressive rock.

Prende quindi a parlare del mondo della musica secondo il suo punto di vista di viaggiatore e abitatore di due diversi continenti.


In Italia si va avanti con cover e minestre riscaldate, come si suol dire. In Brasile è diverso. Come mai ho lasciato l'Italia? Come mai ho optato per il Brasile, e anche per i mercati di Germania, Giappone, di tutto il Sud America...? Perché lì fanno versioni di musica Anni '70, '80, '90 e poi arrivano però ai nostri giorni. Quindi, danno la precedenza ad artisti e gruppi moderni e... fanno suonare! In quei Paesi fanno suonare! Poi, certo, è anche bello che ti incontri con il celebre artista brasiliano della psichedelia e del progressive che andava forte in Brasile negli Anni Settanta, okay, bellissimo, però lì si dà spazio alle band meno conosciute. Appunto: il contrario dell'Italia, dove questa cosa non si fa assolutamente. L'Italia... sta distruggendo la musica! In Italia ci si lamenta che "non c'è niente, non c'è niente...". Non è vero: gli artisti ci sono! Ma se non li fanno ascoltare, se non li sponsorizzano, se non gli danno spazio... è normale che non emergeranno mai! Nessuno sa che esistono. Se ancora il sistema italiano degli spettacoli continua con questi gruppi i cui componenti hanno ottant'anni, anziché lasciare il passo alle nuove leve che fanno musica - e alcuni sono musicisti coi controcoglioni, come dicono a Roma, io lo so perché li conosco, li ho ascoltati... - è evidente che non va, che non funziona nulla. I miei sono concetti chiari, credo. Sono anni che mi batto per questa cosa qui!

Fare molta ricerca, fermarsi, studiare. Ecco il nostro compito! Altrimenti si sforna sempre lo stesso prodotto. Io faccio di continuo cose diverse. Oggi, tutte queste band post-rock metal eccetera sembrano lo stesso gruppo! Alla fine, cambia solo il nome. Suonano tutte in maniera uguale. Prendine dieci, di band prog-metal: seguono lo stesso genere, lo stesso filone di musica e non riesci a distinguerle. Di contro io, ogni mio progetto cerco di farlo diverso dal precedente. Altrimenti tralascerei di fare musica, di suonare musica; me ne andrei al mare (sogghigna). Capisci? Lascerei perdere. Questo è il punto, ecco. Siete voi blogger e siete voi pubblico a dare soddisfazione. Noi facciamo musica e cerchiamo di dare il nostro meglio. Quando tornerò in Italia, riprenderò un certo progetto che ho in mente e che voglio portare avanti con Gianni Nocenzi. Un progetto che riguarda band italiane. Band che nessuno se le fila, band che cercano di fare cose interessanti, cose nuove, cose inedite. I F.lli Serravalle sono tra questi gruppi. Noi vogliamo fare una selezione di band, iniziando da Roma e via via esplorando altre aree geografiche. Cercare di farle suonare dal vivo. Basta con questi complessi Anni Ottanta, basta! Hanno fatto la loro parte e ora... che se ne andassero in pensione! Non si può andare avanti seguendo la medesima falsariga. Sempre gli stessi festival, sempre gli stessi artisti e le stesse band... con gente sul palco di 70 anni o più. È abbastanza, adesso! Bisogna dare spazio ad artisti che fanno vera musica. Musica innovativa. Inedita, soprattutto. Non minestre riscaldate di mezzo secolo fa. Ecco il mio parere. E queste idee le porto avanti, le sto portando avanti.




Ti racconto un aneddoto: quando parlai con Klaus Schulze, che conobbi a un concerto (anche merito del mio manager. Fu quando stavo con la Cyclops Records: il mio manager conosceva il manager di Klaus Schulze e ci ha fatti incontrare), io stavo in concerto e lui, Schulze, mi spiegava come mai aveva abbandonato i Tangerine Dream. È andato avanti per un po' a fare musica per poi fermarsi; perché sulla musica ambient, quella che facevano loro, alla fine ti fermi, sennò rischi di fare tutti i progetti molto simili l'uno all'altro, praticamente identici. Infatti, pure i Tangerine Dream alla fine si son persi, così come Klaus Schulze stesso. Lui me lo ha detto, personalmente. Ha spesso, per anni, studiato, fatto ricerca, innovazione, per poi pubblicare nuovi progetti. Non erano idee innovative al 100% le sue ma, diciamo, abbastanza innovative. Quindi - capisci? - lui ha cambiato direzione, mentre nel contempo i Tangerine Dream sfornavano album su album, sì, dischi carini, ma alla fine tutti uguali. Ci intendiamo sul senso del mio discorso? Stando all'avanguardia, io non sono rimasto fermo alle sonorità Anni Settanta. Nel progetto che sto portando avanti con Alessando [N.d.R.: Alessandro Serravalle], usiamo entrambi synth, loops, strumentazione moderna, Korg, Yamaha... 

Intervistatore: Ad ascoltare i brani che mi hai spedito, sembra di sentire una band intera! Un ensemble di più persone.

Certo, noi suoniamo persino bass e drums. Dal vivo, nonché sui miei album Planets e Moments of Reflection, ho due turnisti, sia in studio sia live, due musicisti bravi - il batterista ha suonato con Sergio Mendes... Per fare il polistrumentista e mixare le varie registrazioni occorre avere un background niente male, sai? Il tutto richiede grande impegno e tanto studio. Anche perché sulla musica ambient ti puoi sbizzarrire come vuoi, come facevano i grandi maestri, i pionieri. Ci sono brani con looper, con sequencer, samples, suoni speciali, effetti sonori... Se ascolti il concept album Planets, noterai forse che contiene brani che ho suonato con la band e altri unicamente miei, dove uso la batteria elettronica... che però sembra vera! Ciò richiede studi, anni e anni di ricerche. 

    Già uscito: l'EP Moments of Reflection  

 (Disco che va in una direzione diversa da quella di Planets, Moments of Reflection è molto più chitarristico e progressive.)

    A breve: l'uscita di Abyssal Depths  







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