12/21/25

'Best of Prog 2025' (secondo noi)

 La classifica di Prog Bar Italia

il "Best of" del 2025

[Naturally this is our personal opinion!]


Best Drummer:                Grégoire Galichet (Kwoon, FRA)


Best Bassist:                Tim Esau (IQ, UK)


Best Keyboardist:       Christopher "Chris" Buzby (Echolyn, USA)


Best Guitarist:      Krister Jonsson (Karmakanic, SWE)


Best Vocalist:     Sondre Skollevoll (Moron Police, NOR)


Best Album:        Dominion (IQ, UK)


Best Band:         Cosmograf (UK)



Gli album dei Cosmograf (alias Robin Armstrong), compreso l'ultimo, The Orphan Epoch, sono su Bandcamp


Best Reissue:                      Aqualung Live (Jethro Tull)


Best New Band:               The Far Cry (USA)


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GMZ - 'Diario di bordo'

Sia detto fin da subito: Diario di bordo ha molto da offrire, oltre ai due brani in "formato hit" che GMZ (al secolo Gianmaria Zanier) ha suonato online - sul palco - rispettivamente con gli Osanna e i Phoenix Again ("Energia nuova da bruciare" e "Amare... Soffrire... Gioire...").
Le conoscenze di GMZ in ambito cantautorale e nel progressive rock gli sono molto d'aiuto in fase sia creativa sia realizzativa. 

M.P. & RECORDS, G.T. Music


    Tutto ha avuto inizio da questa esibizione dal vivo con i Phoenix Again alla 'Casa di Alex' di Milano... allora c'era ancora Antonio Lorandi.

A supportare in Diario di bordo il cantautore / musicista / giornalista / DJ c'è buona parte dell'Who's Who del jazz-rock e del rock progressivo italiano. Si incomincia con

Gigi Venegoni: chitarra acustica, chitarra elettrica e mixaggio in "Energia nuova da bruciare"; mixaggio in "Amare... Soffrire... Gioire..." (versione live con i Phoenix Again). Venegoni (classe 1951) è un pioniere del jazz-rock nostrano. Co-fondatore degli Arti & Mestieri e apprezzato polistrumentista, ha anche un proprio gruppo: Venegoni & Co. (dal 1977). È nel progetto Banda Belzoni.

Piero Mortara: piano elettrico & synth in "Energia nuova da bruciare" e fisarmonica in "Interludio". Torinese, Piero Mortara è, tra le altre cose, un collaboratore di lunga data di Luigi / Gigi Venegoni; ha suonato anche con gli Arti & Mestieri. È, soprattutto, un noto fisarmonicista: fa parte dell'Aria Accordeon Trio.

Sergio Lorandi: basso elettrico (Fender Jazz Precision, appartenuto al rimpianto Antonio Lorandi) in "Energia nuova da bruciare"; chitarra elettrica in "Outsider (Prologo)" e "Outsider (Epilogo)". Per gli appassionati del neoprog, non avrebbe bisogno di presentazioni, ma comunque lo specifichiamo: Sergio Lorandi è un componente dei bresciani Phoenix Again.

Silvano Silva: anche lui della scuderia dei Phoenix Again (ma le sue prime esperienze musicali risalgono all'infanzia), vanta numerose collaborazioni. Suona la batteria in "Energia nuova da bruciare". 

Inoltre: i Phoenix Again in "Amare... Soffrire... Gioire... (Live Version)" e gli Osanna in "Energia nuova da bruciare (Live Version)".

Il bassista milanese Fabio Del Torchio ha suonato in tutti gli instrumentals, dei quali ha fatto peraltro l'equalizzazione.

E, distribuiti in vari brani:

La violinista e cantante Noemi Mazzoni, qui presente "solo" come violinista: in "Stile Libero (Parte 1 & 2)". Egidio Perduca, polistrumentista e compositore piemontese. Alfredo Ponissi (sì, il famoso jazzista di Torino; sax e flauto). Stefano Pastor (tra i più importanti e innovativi musicisti jazz contemporanei; violino). Il grande maestro delle chitarre Fabrizio Ugas. Il pianista, tastierista, compositore Stefano Nozzoli

Da non dimenticare, naturalmente:

Gianmaria Zanier (GMZ): voce, chitarra elettrica, chitarra acustica, chitarra classica, chitarra 12 corde, pianoforte, piano elettrico Fender Rhodes e Wurlitzer, synth, organo, clavinet, basso elettrico in "Uscita di sicurezza"; mixaggio di tutti i brani strumentali. 

 

    "Energia Nuova da Bruciare" (Gianmaria Zanier feat. Osanna, al 'Porretta Prog Legacy 2025')
 

Le tracce sono 22, con il timone che sembra virare molto spesso verso Sud, là dove si colgono echi dei brani più "mediterranei" della PFM (ma anche degli stessi Osanna; e di Pino Daniele in "Amare... Soffrire... Gioire..."), con qualche giro, qua e là, sulle onde più varie e sui cavalloni (ci sono ad esempio richiami ad Alberto Fortis e forse anche al Banco del Mutuo Soccorso in "Rinascendo ora per ora").
Si coglie, lungo tutta l'opera, un senso di empatia vicendevole tra suonatori e ascoltatori, come se, al di là del momento in cui il CD viene messo su, un'energia invisibile si trasmettesse dagli uni agli altri e ritorno. Sembra a volte che quest'impresa
(a proposito: Diario di bordo è acquistabile anche presso il distributore ufficiale) sia nata per scherzo, per fare musica tra amici, e che abbia preso una piega seria - e anche impegnativa! - man mano che le composizioni venivano suonate e messe a punto.

 
Zanier su Facebook

Niente male, secondo noi, la scelta di inserire, in coda, dei pezzi strumentali. Il tutto parte con "Interludio", che potrebbe benissimo essere un Andante di Nino Rota (e rammenta infatti qualche film felliniano). E si decolla poi con "Il prezzo da pagare"...
Le canzoni di GMZ hanno testi fruibilissimi, ma ciò che sorprende è che, quando inizia la (lunga) parte dei brani non cantati, vi si cerca una sensazione, un significato, da attribuire alle singole melodie; ed ecco che titoli come il suddetto "Il prezzo da pagare", come "Tutto sommato, va bene così...", "Tentativo di fuga", "Ombre cinesi" e i vari altri, arrivano a centrare proprio quelle immagini che le note ci hanno creato dentro.

     


Facit: bellissimo CD! E piacevolissimo da ascoltare, con punte di ottima inventiva nei brani tendenti al jazz-rock. Grandi musicisti (basti sentire gli assoli nelle songs) e... complimenti sinceri a Gianmaria Zanier, importante paladino - con la sua trasmissione Prog & Dintorni e relativo gruppo Facebook (seguitissimo!) - della buona musica 'progressive'.

     "In continuo movimento"

12/03/25

Gentle Giant

 L’arte di essere contemporaneamente antichi e futuristici



Quando si parla di rock progressivo degli anni Settanta, i nomi che vengono in mente più spesso sono Genesis, Yes, King Crimson o E.L.P. (Emerson, Lake & Palmer). Eppure, esiste una band che, pur condividendo lo stesso decennio e la stessa ambizione enciclopedica, è sempre rimasta un passo laterale, quasi in un universo parallelo: i Gentle Giant.


Nati a Londra nel 1970 dalle ceneri dei Simon Dupree & the Big Sound (un gruppo pop-psichedelico che aveva avuto un hit inatteso con “Kites”), i Gentle Giant erano sostanzialmente tre fratelli ShulmanDerek (voce, sassofono, basso), Ray (basso, violino, chitarra acustica, voce) e Phil (sassofono, tromba, clarinetto) – più Gary Green (chitarra), Kerry Minnear (tastiere, vibrafono, violoncello, voce) e, nel corso degli anni, una serie di batteristi di altissimo livello, da Malcolm Mortimore a John Weathers.



Ciò che li rende unici non è tanto l’eclettismo strumentale in sé (c'erano altri gruppi prog i cui membri erano in grado di suonare venti strumenti diversi), quanto il modo in cui lo usavano: non per fare sfoggio fine a se stesso, ma per costruire un linguaggio musicale che sembrava sempre sul punto di sgretolarsi e invece teneva miracolosamente insieme.Ascoltare un loro brano tipico – “Knots”, “The Advent of Panurge”, “Playing the Game” o la suite “In a Glass House” – è come osservare un puzzle tridimensionale che si monta e smonta in tempo reale. Le voci si intrecciano in contrappunti madrigalistici rinascimentali (Minnear aveva studiato composizione classica al Royal College of Music), le ritmiche cambiano metro ogni tre battute, i timbri si sovrappongono in modi che anticipano di decenni certe cose di Frank Zappa o dei Mr. Bungle, ma con un’eleganza britannica che non scade mai nel puro virtuosismo semi-circense.

     
"Proclamation"


I testi, poi, sono un altro mondo. Derek Shulman era affascinato dalla letteratura, dalla filosofia e dal gioco di parole. Acquiring the Taste (1971) si apre con una dichiarazione di intenti quasi arrogante: «It is our goal to expand the frontiers of contemporary popular music at the risk of being very unpopular». E mantengono la promessa. Parlano di Rabelais, di Knots di R.D. Laing (psichiatria anti-psichiatria), di alchimia, di scacchi, di potere e di libertà individuale, sempre con un distacco ironico che li salva dal didascalismo di tanto prog.

   
"The Advent of the Panurge"

Dal punto di vista sonoro, i Gentle Giant sono la band prog più “polifonica” in senso letterale: ogni strumento ha una personalità, un ruolo melodico quasi costante. Non c’è quasi mai un accompagnamento “di servizio”. Il basso di Ray Shulman non fa solo groove, canta linee indipendenti; il vibrafono di Minnear non colora, guida; la chitarra di Gary Green passa senza soluzione di continuità dal rock al jazz al folk celtico. E, sopra tutto questo, le voci: controcanti a cinque-sei parti, spesso registrate senza overdub eccessivi, che suonano come un coro medievale finito per sbaglio dentro un amplificatore Marshall.



Il periodo d’oro va dal 1970 al 1975: sei album (Gentle Giant, Acquiring the Taste, Three Friends, Octopus, In a Glass House, The Power and the Glory) che rappresentano probabilmente il picco creativo del progressive britannico tout-court.







Poi, come quasi tutti i gruppi del genere, arrivano i compromessi: Free Hand (1975) è ancora eccellente ma più accessibile, Interview (1976) cerca (invano) la hit radiofonica, e dal 1977 in poi la parabola discendente è inarrestabile. L’ultimo album, Civilian (1980), è un onesto tentativo di AOR che però suona come una resa.

Eppure, paradossalmente, è proprio il loro rifiuto di fare concessioni facili che li ha resi un culto. Non hanno mai avuto una “The Court of the Crimson King” o una “Roundabout” che entrasse in heavy rotation. I loro concerti erano eventi per iniziati: partiture complesse, cambi di strumento continui, umorismo surreale (i famosi “giochetti” tra un brano e l’altro in cui si scambiavano gli strumenti o improvvisavano madrigali su richiesta del pubblico).



Oggi i Gentle Giant sono probabilmente la band prog più influente tra i musicisti e meno conosciuta dal grande pubblico. Li citano i Spock’s Beard, i The Flower Kings, ma anche band math-rock come Battles o post-rock come Sigur Rós (ascoltate “Cogs in Cogs” e ditemi se non sentite un antenato di certi loop di Jónsi). Mike Portnoy li ha sempre messi nel suo personal pantheon. Persino i Radiohead dei primi anni devono qualcosa al modo in cui i Giant trattavano la voce come strumento.



I tre fratelli Shulman, dopo lo scioglimento, si sono dedicati alla produzione e al management (Derek ha lavorato con Bon Jovi, Billy Idol, ecc.), ma nel 2004-2005 hanno autorizzato una reunion parziale (con Minnear e Green) sotto il nome “Rent-a-Giant” per qualche concerto celebrativo. Niente nuovo materiale, solo la conferma che quelle musiche, eseguite dal vivo nel 2020 come nel 1972, suonano ancora aliene.

I Gentle Giant non sono mai stati “piacenti”. Non hanno mai voluto essere amati facilmente. Hanno scelto di essere difficili, intricati, ironici, coltissimi e antidivistici. E proprio per questo, a distanza di oltre cinquant’anni, restano una delle esperienze più stimolanti e irripetibili che il rock abbia mai prodotto.Se non li conoscete ancora, iniziate da Octopus (1972). Poi preparatevi a un viaggio senza ritorno.

      "On Reflection"


       LINKS


I Gentle Giant se la giocano con i King Crimson in quanto a virtuosismo... Ecco la loro discografia:


Con la Vertigo

1970 - Gentle Giant

1971 - Acquiring the Taste

1972 - Three Friends

1972 - Octopus


Con la WWA

1973 - In a Glass House

1974 - The Power and the Glory


Con la Chrysalis

1975 - Free Hand

1976 - Interview

1977 - The Missing Piece

1978 - Giant for a Day

1980 - Civilian


      
   

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