Prima parte
( Seconda parte, vai avanti >>>> )
Non ci sono stati solo i Porcupine Tree. Nel corso della sua lunga carriera (le prime esperienze in studio di registrazione risalgono agli Anni Ottanta), Steven Wilson ha avuto all'attivo numerosi side-project, tra i quali i Blackfield (con il cantautore israeliano Aviv Geffen), gli Storm Corrosion (con Mikael Åkerfeldt degli Opeth), Bass Communion, gli I.E.M. (Incredible Expanding Mindfuck) e i No-Man (con il cantante Tim Bowness).
Solitamente Steven Wilson suona tutti gli strumenti e cura tutti gli aspetti tecnici inerenti al suono, alla programmazione e alla produzione. Fondamentale è la sua collaborazione con Lasse Hoile, grafico, regista e fotografo danese, da anni abilissimo nel tradurre in forma visiva le sue idee.
In veste di produttore, nel nuovo millennio il musicista inglese ha anche curato le versioni remix di numerosi album legati al rock progressivo, come In the Court of the Crimson King dei King Crimson, Emerson, Lake & Palmer, Aqualung dei Jethro Tull e Fragile e Close to the Edge degli Yes. E in studio è stato in grado di plasmare il sound di influenti band moderne, come gli Opeth.
Album da solista2008 Insurgentes2011 Grace for Drowning2013 The Raven That Refused to Sing (And Other Stories)2015 Hand. Cannot. Erase.2017 To the Bone2021 The Future Bites
Il suo primo lavoro personale è Insurgentes, registrato tra gennaio e agosto 2008. (Belle a questo proposito sia l'edizione giapponese dell'album sia la "limited deluxe edition", che includono 4 tracce più una "hidden track".)
Collaborano qui il batterista Gavin Harrison (già con lui nei Porcupine Tree), Tony Levin al basso (Peter Gabriel, King Crimson) e Jordan Rudess (Dream Theater) alle tastiere. Fior fiore di nomi, dunque.
Steven Wilson menziona tra le proprie influenze musicali il post-punk e lo shoegaze e in particolare gruppi quali Joy Division, Killing Joke, The Flaming Lips, My Bloody Valentine e The Cure. Insurgentes è un disco difatti oscuro e a tratti misantropico, che cerca nell'infelicità, nella depressione, nella sofferenza l'acqua a cui abbeverarsi. Le radici prog-classiche vengono abbandonate forse definitivamente a favore del noise. Un omaggio al maestro Robert Fripp è "No Twilight Within the Court of the Sun", brano inserito a metà scaletta, molto crimsoniano già nel titolo. Con le sue fughe strumentali, è forse il migliore titolo dell’album, insieme all'eclettica e composita "Salvaging" (terza traccia).
Alcuni altri brani sono vicini al metal tagliente dei Porcupine Tree dell'ultimo periodo.
Tre anni dopo esce Grace for Drowing, dove Steven Wilson di nuovo, oltre a cantare, suona vari e numerosi strumenti (keyboards, guitars, autoharp, bass, piano, gong, glockenspiel, harmonium, percussion, programming) e si rende responsabile della produzione e del mixing.
Al momento dell'uscita di questo secondo lavoro sotto il proprio nome, il cantautore e musicista britannico è già, da oltre un decennio, una figura-chiave del neo-prog. Grace for Drowing trova alquanta risonanza su siti e magazines vari ancor prima di uscire, grazie ad anticipazioni quali files da scaricare, videoclips e la riproduzione della copertina (che è opera di Lasse Hoile). Come nel 'debut album', anche questo lavoro è una mistura di noise music, drone, minimalismo e improvvisazioni: una musica dalle mille sfaccettature. Il disco non è però un sequel di Insurgentes, bensì una reinvenzione, da parte di Wilson, della propria attività da solista. È un doppio album con ciascuna "metà" composta da quaranta minuti di musica e vi partecipano abbastanza guests da equipaggiare un reggimento militare (Jordan Rudess, Nick Beggs, Theo Travis, Tony Levin, Trey Gunn, Pat Mastelotto, Steve Hackett e vari altri).
Drive Home (EP)
Contiene alcune tracce registrate in studio e un paio di video musicali. Le registrazioni in studio - a Los Angeles - sono state fatte dal 15 al 21 sett. 2012. Inoltre, il CD e il DVD/Blu-ray contengono diverse tracce live del concerto in Germania del 23 marzo 2013 - alla Hugenottenhalle di Neu-Isenburg.
Drive Home del 2013 meglio si può descrivere ripetendo le parole di Thom Jurek (AllMusic), il quale parla della title track come di "una stupenda fusione di atmosfere notturne pinkfloydiane e magnificenza melodica tipo Moody Blues, assoli di chitarra tentacolari e in più la cristallina produzione a firma Alan Parsons".
E le tracce dal vivo? Per Jurek, sono "versioni sopraffine" che i componenti della band "liberano dallo spazio ristretto dello studio di registrazione".
The Raven That Refused to Sing (And Other Stories)
L'evoluzione stilistica di Wilson, in cui l’artista fagocita generi diversi che vanno dal jazz all’elettronica, è un percorso tracciato da Grace For Drowning e The Raven That Refused to Sing.
The Raven That Refused to Sing venne realizzato dopo la morte del padre (è un album dedicato al sopranaturalismo) e contiene di conseguenza toni più dark, più scuri del successivo Hand.Cannot.Erase (che pure, come vedremo, si basa essenzialmente - o anche - su una storia "orrifica").
Released 25 February 2013Recorded 15–21 September 201217 October 2012Studio EastWest Studios, Los AngelesAngel Recording Studios, London
Non è la colonna sonora di nessuna generazione; è il soundtrack dell'alienazione. Stralci di melodie, ma niente di "catchy" che ti rimanga nella testa (d'accordo: "Drive Home" è una bella ballata, non priva di lirismo quasi à la R.E.M.).
L'intro di basso e poi il giro di "Luminol" (prima traccia) sono considerati fra i migliori, se non i migliori della storia della musica degli ultimi 40 anni. Merito di ciò è in gran parte dello straordinario talento di Nick Beggs. Visto dal vivo, Beggs ha una tecnica impressionante. "Luminol" è oltretutto un brano scritto segnatamente per il basso, che qui, da strumento ritmico, diventa strumento melodico. Dopo John Entwistle di The Who, si può dire che Beggs sia il migliore bassista in circolazione.
L'impressione generale dell'album è quella di post-rock (piuttosto che di prog-rock) con inserti jazz. Tanta parte dello spartito è tenuta in scala maggiore con non poco rumore zappiano. Una drammaticità portata all'esasperazione, un lamento prolungato... come quello emesso dagli spiriti "soprannaturali" che il disco vuole rendere presenti.
Verso la metà ci sono i momenti migliori ("The Holy Drinker" e soprattutto "The Pin Drop" con le sue sfumature genesisiane) (e si può dire la stessa cosa di "The Watchmaker").
L'ultima track, quella eponima, è anche la più memorabile, con atmosfere intime che ricordano una cameretta recondita e l'anima di un ragazzo che si proietta nell'universo pur senza lasciarla... e che alla cameretta ritorna.
Queste almeno le impressioni che ci dà il brano n. 6, "The Raven That Refused To Sing". Una song carica di tensione, di pathos, ma almeno senz'altro bello, questo brano, dal punto di vista melodioso e dell'esecuzione. S.W. ce lo spiattella senza troppi virtuosismi stavolta, ma curandosi di creare l'ambiente, il "clima" dettato dalla situazione e dal tema. Il corvo della canzone ricorda un po' Edgar A. Poe; e la preghiera o meglio implorazione all'assente "Lilly" evoca il testo di "The Musical Box"; ma siamo evidentemente molto lontani da quella magia. Diciamo che l'artista Wilson si crea una dimensione propria di sentimenti ed empatia, il tutto però ricoperto da una patina di freddezza metallica, invaso da molto meno romanticismo di quanto potrebbe offrire l'argomento. Romanticismo che è però presente, di contro, in...
(Hand. Cannot. Erase. Ne parliamo nella seconda puntata.)
Links relativi:
Nessun commento:
Posta un commento