side one:Mrs Tibbets 0:00Jacob’s Tales 5:54Mine Is the Mountain 8:07side two:The Zealot Gene 13:48Shoshana Sleeping 17:44Sad City Sisters 21:25side three:Barren Beth, Wild Desert John 25:07The Betrayal of Joshua Kynde 28:46Where Did Saturday Go? 32:53side four:Three Loves, Three 36:46In Brief Visitation 40:16The Fisherman of Ephesus 43:19
Per certi versi è una delusione, davvero. Voce debole, soprattutto per un'immersione nel discorso biblico; strofe ripetitive (parliamo delle note, non del testo) e... niente Martin Barre! Fondamentalmente, questa è la Ian Anderson Band con il nome "Jethro Tull" appiccicato sopra.
Tutti i brani sono in mid-tempo, senza geniali invenzioni, senza sorprendenti colpi di coda, e la voce di Ian... beh, è quella di un ultrasettantenne con problemi ai polmoni; e compressa in poche ottave, ormai.
Non scrivete nessun commento in calce all'articolo! Questo è il nostro parere: trattasi - probabilmente - di uno dei tre-quattro album peggiori che Ian Anderson abbia mai fatto! Dico "Ian Anderson" poiché i Jethro Tull (questi Jethro Tull) sono lui. Ripeto: nessuna replica, non la leggeremo! È l'opinione nostra personale; certo non incontrovertibile né carica di valore universale, ma di sicuro conta - almeno per Prog Bar Italia - come giudizio definitivo (dopo ripetuto ascolto dell'intero album).
Sia detto immediatamente che il prodotto non è proprio da buttare, ma manca di sicuro Barre per riavere il suono degli autentici Jethro Tull. Altro problema: il bassista. I JT hanno avuto tre fantastici bassisti: Glenn Cornick, John Glascock e Dave Pegg. Quello di questo album, David Goodier, non si dimostra all'altezza. Gli altri membri sono abbastanza bravi, con il chitarrista Florian Ophale (da Rosenheim, Baviera) che svetta su tutti. E l'altro uomo alla chitarra elettrica, Joe Parrish, è altresì eccellente e chi lo conosce sa anche che è un ottimo cantante: avrebbe dovuto, qui, ottenere molto più spazio...
I brani
1. "Mrs. Tibbets": Ian Anderson si riferisce alla madre del pilota che sganciò la prima bomba atomica su Hiroshima. Il nome del pilota era Paul Tibbets e la sua genitrice si chiamava Enola Gay Tibbets. La bomba venne battezzata "Enola Gay". Nonostante i gravissimi danni (sulla popolazione!) causati dalla terribile arma, i giapponesi non vollero arrendersi. Solo sei giorni dopo, quando gli americani sganciarono la seconda bomba, l'imperatore del Giappone e il suo Comando Supremo sventolarono bandiera bianca.
2. "Jacob's Tales": una traccia solista di Ian Anderson; un usa-e-getta, un riempitivo. In passato, un simile brano non sarebbe stato nemmeno usato come lato B di un singolo. Ma di che cosa parla la canzone? Ce lo rivela lo stesso Anderson:
“A parte il 'Giacobbe' del titolo, questo è un racconto di invidia e di gelosia - gelosia nel senso di rivalità tra fratelli. Esprime l'idea che fratelli e sorelle non sempre vanno d'accordo e che, quando si tratta dell'inevitabile passaggio di beni e tesori di famiglia, le cose possono... beh... degenerare. In questo come negli altri testi, ho preso un elemento dalla Bibbia come parallelo, come riferimento."
3. "Mine is the Mountain": non male! Dal punto di vista dei testi e anche musicalmente ricorda in qualche modo (il molto migliore) "My God".
4. "The Zealot Gene": come musica siamo di nuovo a livelli alti, e il testo vuole essere un attacco all'ex presidente degli U.S.A. Donald Trump. "Lo zelota". Ma può essere anche interpretato come una critica verso altri personaggi politici fatti più o meno della stessa pasta di "Donnie".
5. "Shoshana Sleeping": il classico "sound" dei Tull. Il "bridge" non brilla per inventiva, però.
6. "Sad City Sisters": vale il discorso di cui sopra. Traccia molto buona che sarebbe potuta essere ancora migliore se il chitarrista avesse potuto esprimersi maggiormente. La monotonia è un po' troppa.
7. "Barren Beth, Wild Desert John": decisamente, la traccia dell'album da noi preferita.
8. "The Betrayal of Joshua Kynde": molto vicino ai classici JT. La seconda traccia migliore di questo disco? Sì, dài. I vecchi temi jethrotulliani vengono comunque abbozzati, in questo come in altri brani... anche se poi manca lo sviluppo, il colpo di genio compositivo.
9. "Where Did Saturday Go?": brano solista di Anderson (con lui che suona un bel basso): ricorda alcune celebri canzoni acustiche dei Tull.
10. "Three Loves, Three": altro "assolo" di Anderson. Discreto. Sarebbe risultato molto meglio con la band, che avrebbe potuto aggiungervi più sfumature e vivacizzarlo.
11. "In Brief Visitation": traccia quasi buona, con gradite aggiunte di chitarra elettrica e tastiere; mostra come avrebbe dovuto essere realizzato il pezzo precedente.
12. "The Fisherman of Ephesus": chiusura senza il botto, poco più che discreta.
In conclusione, The Zealot Gene è un disco non pregevole ma buono / quasi buono. Pur rimanendo lontano dalla brillantezza dei migliori lavori dei Tull, non sfigura affatto accanto agli ultimi tre album in studio della band. (Che, lo ammetterete, non sono proprio eccezionali.) Per i fan di Ian Anderson e dei JT, è certamente un "must", anche se nessuno andrà in solluchero ascoltandolo.
Anderson ha raccontato di avere già in mente il prossimo album dei Jethro Tull. Di aver addirittura iniziato a scriverlo...
Speriamo bene!
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