2/25/23

Baroness (U.S.A.)

 Gold & Grey (2019)



Una tavolozza di 17 brani stilisticamente liberi. John Baizley è il chitarrista e cantante della band heavy metal / prog Baroness (da Savannah, Georgia; poi trasferitisi a Philadelphia, in Pennsylvania) e anche "maestro di cerimonie" nonché artista figurativo (suo l'artwork delle copertine). La traccia che apre Gold & Grey si fa ammirare per un basso "scricchiolante" al quale dopo un minuto si aggiungono le eccellenti chitarre. Dopo questa partenza brachiale e heavy, abbiamo la narrazione lirica di "I'm Already Gone", con l'aggiunta di una linea di basso sognante che fa il duetto con il cantato di Baizley. Un riff progressive caratterizza "Seasons 1". "Sevens", con la sua totale decelerazione e la trama ambient ci prepara a "Tourniquet", a base di chitarra acustica e vocals stavolta pink-floydiani. Su vinile, questa sarebbe già la prima di tre facciate. Ogni "side" ha la propria drammaturgia. Dopo la disperata richiesta di aiuto di "Throw Me An Anchor", i Barobess si avvitano sulla malinconica "I'd Do Anything". "Blankets Of Ash" suona alquanto... nichilistica, e lo è, infatti., con drones, passaggi disarmonici e - di nuovo - urla di disperazione. Dalle ceneri sorge "Emmet - Radiating Light", una bella ballata. "Cold-Blooded Angels" inizia sulla stessa falsariga per poi portarci a un furioso finale, o showdown (rende meglio l'idea).
Energia punk accanto all'arte della filigrana: questo è Gold & Grey.





Il gruppo era originariamente composto, oltre dal cantante e chitarrista John Baizley, dal chitarrista Tim Loose, dal bassista Summer Welch e dal batterista Allen Blickle.
 Firmarono con la Hyperrealist Records pubblicando due primi EP nel 2004 e nel 2005, intitolati semplicemente First e Second.
Nel luglio 2007 venne pubblicato A Grey Sigh in a Flower Husk, che conteneva due brani di Baroness e quattro degli Unpersons, altro gruppo di Savannah.


 Le copertine sono opera di John Baizley







 Dopo che Tim Loose fu sostituito da Brian Blickle, la band pubblicò l'album di debutto - Red Album - per la Relapse Records (sett. 2007). 

Un secondo cambio di chitarrista seguì esattamente un anno dopo: Brian Blickle se ne andò e arrivò Pete Adams.





Ottobre 2009: viene pubblicato l'album Blue Record, che vede per la prima volta i Baroness entrare nella Billboard 200 (al posto 117). 
Aprile 2012: il bassista Sammy Welch getta la spugna e al suo posto arriva Matt Maggioni, ma questi non fa in tempo a registrare il terzo album della band, dove tutte le parti di basso sono opera di Baizley. Il doppio Yellow & Green, pubblicato nel luglio 2012, raggiunge il numero 30 della Billboard 200 e il primo singolo, "Take My Bones Away", si piazza alla posizione 38 della classifica Billboard Mainstream Rock Songs.


Poi ci fu il terribile incidente stradale. Era l'agosto del 2012, mentre era in corso la tournée per promuovere Yellow & Green. A causa delle ferite riportate, Baizley, Allen Blickle e Maggioni rimasero ricoverati in ospedale per diverse settimane. Qualcosa lì non funzionò, o forse furono i postumi dell'incidente: appena arrivò l'annuncio che il gruppo avrebbe ripreso il tour, Allen Blickle e Maggioni fecero sapere che se ne sarebbero andati.
Furono sostituiti da Nick Jost (al basso) e Sebastian Thomson (alla batteria).

Uscì il quarto album dei Baroness: Purple, nel dicembre 2015.
Purple raggiunge la posizione 70 della Billboard 200, mentre il secondo singolo "Shock Me" arriva al numero 28 dei Mainstream Rock Songs.


Di Gold & Grey abbiamo parlato sopra. Dopo il doppio album Yellow & Green, Gold & Grey rimane il loro output più di successo. 




La band ha inoltre pubblicato due dischi  dal vivo:

Live at Maida Vale (2013)
Live at Maida Vale BBC – Vol. II (2020).





2/21/23

Steven Wilson, ricapitolando la sua carriera solista [2]

                            Seconda parte

( <<<< Prima parte, vai dietro )



Hand. Cannot. Erase. (2015)


La faccia di Steven Wilson, che campeggia da quasi trent'anni ormai su tutti i magazines dedicati al rock progressivo, è diventata un'icona del genere. E su Prog gli articoli su di lui si succedono a cadenza regolare. Non passa praticamente numero di Prog - così come di altre riviste - senza che ci sia, su questo artista, almeno un trafiletto...




Nel periodo di Hand. Cannot. Erase., dell'EP 4 ½ e dell'album successivo To the Bone (2017) abbiamo l’ultima incarnazione di Wilson, ormai una figura a parte nel genere della musica popolare-ma-non-banale e del rock più ispirato e, sì, colto.

(L'ultimo album solista a oggi, The Future Bites, è uscito nel 2021 ed è tutt'altro discorso, secondo noi.)

In Hand. Cannot. Erase. siamo su livelli molto più piacevoli e meno introversi del lavoro precedente.

Con una chitarra elettrica che a tratti ricorda i gloriosi The Who e tastiere più aperte al mondo e dunque solari, ci viene offerta una vasta gamma di suoni. C'è qualche reminiscenza addirittura genesisiana. E, comunque, le composizioni hanno una vicinanza più sana alla forma "canzone".


   Line-up / Musicians

- Steven Wilson / vocals, electric (3-7,10) & acoustic (2,4-6,8,10) guitars, banjo (7), keyboards, Mellotron M4000, bass (1,2,5-7), hammered dulcimer (9), shaker, Fx, programming, choir (5,10,11) & strings (9,10) arrangements, producing & mixing

    With:

- Leo Blair / vocal solo (5)

- Guthrie Govan / lead guitar (1,2,5-7,9,10)

- Dave Gregory / guitar (2,10) & 12-string guitar (3)

- Adam Holzman / piano, Hammond B3, Fender Rhodes, celesta (3,5,9), Wurlitzer (7), Moog solo (7)

- Theo Travis / baritone saxophone & flute (9)

- Nick Beggs / bass (3,9), Chapman Stick (4,6,10), backing vocals (2,4-6,9,10)

- Marco Minnemann / drums

- Chad Wackerman / drums (10)

- Ninet Tayeb / backing vocals (3,5,9)

- Katherine Jenkins / voice (4)

- Dave Stewart / choir (5) & strings (9) arrangements

- Schola Cantorum of The Cardinal Vaughan Memorial School / chorus vocals (5,10,11)

- London Session Orchestra / strings (9,10)


   Tracks

1. First Regret (2:01)

2. 3 Years Older (10:18)

3. Hand Cannot Erase (4:13)

4. Perfect Life (4:43)

5. Routine (8:58)

6. Home Invasion (6:24)

7. Regret #9 (5:00)

8. Transience (2:43)

9. Ancestral (13:30)

10. Happy Returns (6:00)

11. Ascendant Here on... (1:54)


   Total Time 65:44



Album migliore del precedente, questo Hand. Cannot. Erase e sono d'accordo che trattasi di uno dei dischi meglio riusciti degli ultimi decenni, non solo in ambito neo-prog. In my humble opinion!

Per la pubblicazione dell'album, Steven Wilson venne intervistato da Jerry Ewing in persona, che è stato il fondatore della prestigiosa rivista Prog. L'intervista non aggiunge e non toglie nulla all'immagine di S. Wilson, da molti considerato arrogante e che dà forse fastidio per la sua onnipresenza, ma che intanto, grazie al fatto di essere tanto diligente, è uno dei pochi attori del prog che riescono a campare grazie alla vendita dei dischi. E a campare bene, come si sottolinea nell'articolo.



È un concept ispirato al caso di Joyce Vincent, una donna ben inserita nella società londinese la quale tuttavia, dopo essere spirata nel proprio appartamento, sembrò essere stata dimenticata da tutti e cancellata dalla memoria del mondo... finché tre anni dopo non se ne trovò lo scheletro. Qui c'è meno Theo Travis che nel precedente platter, quindi è un album meno jazzato e con momenti rock più "vivaci"... nonostante lo spunto funereo.





4 1/2 (EP, 2016)


Hand. Cannot. Erase. dell'anno prima fu l'album di maggior successo nella carriera di Steven Wilson - fino a quel momento. Grande risultò essere anche il riscontro di pubblico nel tour successivo. Proprio durante quei concerti, Wilson & Co. presentarono alcuni brani inediti (insieme ad altri del repertorio dei Porcupine Tree), brani che furono aggiunti nella cartella dei suoi progetti e pubblicati poi nel'EP 4 1/2 insieme a tracce che erano state escluse dagli ultimi suoi due album. 

4 1/2 uscì mentre Wilson lavorava già al suo quinto album (To the Bone). 

È un EP di 37 minuti. 4 dei titoli sono nati durante le sessioni per Hand. Cannot. Erase. e uno risale a The Raven That Refused to Sing. L'ultima traccia, "Don’t Hate Me", è una canzone originariamente registrata dai Porcupine Tree e riproposta in una versione rimaneggiata nel tour europeo. Per l'EP ci sono diverse aggiunte fatte successivamente nello studio di registrazione. 

Il cantato di "Don't Hate Me" vede affiancati Steven e Ninet Tayeb. È un duetto, dunque.

Tre tracce di 4 1/2 sono strumentali: "Year of the Plague", "Sunday Rain Sets In" e "Vermillioncore".



Released on Jan 22nd, 2016

Key Tracks: 1. "My Book of Regrets", 3. "Happiness III"

 

   Track listing

1. My Book of Regrets (9.23)

2. Year of the Plague (4.15)

3. Happiness III (4.31)

4. Sunday Rain Sets In (3.50)

5. Vermillioncore (5.09)

6. Don’t Hate Me (9.34)




To the Bone (2017)


"I'm tired of Facebook

Tired of my failing health

I'm tired of everyone

And that includes myself"


A maggio 2017, il singolo "Pariah" preannunciava l'uscita del quinto disco solista di Steven Wilson - senza contare, ovviamente, l'intermedio EP 4 ½ - e, anche dopo aver ascoltato più volte tutte le tracce di To the Bone, è questo il passaggio - dal brano "Pariah", appunto - che rimane più impresso nella mente. Questo e, anche, la canzone "Refuge", incredibilmente "catchy" e incredibilmente potente.



To the Bone segna il culmine della carriera del quasi 50enne musicista; è un compedio della sua inventiva, con novità sparse qua e là. La novità più grossa è ovviamente lo stile. Wilson stavolta voleva fare un album più pop-rock, sull'esempio di Peter Gabriel ('So'), dei Talk Talk...! Qualcosa che si avvicinasse e lo avvicinasse al mainstream. (Ricordo che diede decine, forse centinaia di interviste in cui cercava di spiegare il perché della svolta.) In To the Bone, il songwriting cerca di essere diretto, senza troppi orpelli, prova a dipanarsi lungo una narrazione rock che non sia necessariamente progressive... Forse vuole un po' rifarsi anche à la Kate Bush dei grandi successi, ai dischi di artpop. Ne esce fuori un prodotto eccellente, non importa quale etichetta vogliamo affibbiargli: la cura dei dettagli e la tecnica - anche nelle e delle cosiddette "canzoni pop" (ma... "Permanating" è una canzone pop? Leggera?... Ma sì, dài!) - rivelano la mano del maestro. L'eclettismo inoltre è presente, non ci sono mai due brani che si assomigliano. E i testi sono molto seri e ben strutturati, evocano immagini spesso dark, come negli anni precedenti. È tutto troppo ben fatto e troppo ponderato perché Wilson possa ingannarci. Ah, a proposito dei testi, lui stesso dichiara:


>> Lyrically, the album’s 11 tracks veer from the paranoid chaos of the current era in which truth can apparently be a flexible notion, observations of the everyday lives of refugees, terrorists and religious fundamentalists, and a welcome shot of some of the most joyous wide-eyed escapism I’ve created in my career so far. Something for all the family! <<


Ricordiamoci di una cosa: mentre noi ripassiamo questo segmento della sua carriera solista, Wilson è impegnato su vari fronti contemporaneamente. Oltre ai Porcupine Tree, milita nei No-Man, nei Blackfield, nei Bass Communion, negli Storm Corrosion; si è occupato del remix di album targati King Crimson, si destreggia con le sonorità di epoche diverse e le ricopre di una patina moderna... In questo album dall’artwork minimale e forse per questo tanto efficace, vuole "rilassarsi" un po'... Beh, togliamoci il cappello.



Attenti, puristi! Adesso arriva la doccia fredda.

The Future Bites (2021)

Differente, molto differente, di sicuro non prog-rock... Siamo lontani, musicalmente, dai Porcupine Tree e dai primi album solisti di Steven Wilson. E tuttavia: da ascoltare, per meglio conoscere.

Mojo ha assegnato all'album 4 stelle su 5 descrivendolo come "un grande disco di pop maggiorato", aggiugendo che "il lavoro solista [di Wilson] ha portato l'artista ad abbracciare la dance, l'elettronica e il pop e ciò ha causato il miglioramento". Uncut, Classic Rock, il tedesco Rocks Magazine...: tutte le testate specializzate hanno lodato l'imprevedibilità di Wilson, i suoi "agganci vocali in falsetto", il suo "metapop anticonformista". 

Un altro trionfo? Commercialmente, sì.



Le tracce sono state tutte composte da Steven Wilson e sul package i titoli sono stilizzati in maiuscolo. Anche il titolo dell'album lo è: 

'The Future Bites' ---> THE FUTURE BITES™. 

È il suo sesto lavoro personale in studio (full-lenght). Coprodotto da Wilson e David Kosten e registrato a Londra.

The Future Bites tratta due temi ricorrenti della produzione di Wilson: l'identità dell'essere umano e la tecnologia. A proposito di quest'ultima, un comunicato stampa in concomitanza con l'uscita del disco ci dice che la tecnologia "è un muro di separazione della nostra utopia del 21° secolo, consentendo anche momenti di crescita personale e ottimismo". Di The Future Bites è stato inoltre detto che è "meno la visione cupa di una distopia prossima ventura quanto più una curiosa lettura del qui e ora".

"Personal Shopper" il primo singolo, "ci immerge completamente nella danza e nella neo-disco, mantenendo in qualche modo un taglio rock".

"In qualche modo": già!


   Track listing

1. "Unself" 1:05

2. "Self" 2:55

3. "King Ghost" 4:06

4. "12 Things I Forgot" 4:42

5. "Eminent Sleaze" 3:52

6. "Man of the People" 4:41

7. "Personal Shopper" 9:49

8. "Follower" 4:39

9. "Count of Unease" 6:08

           

                Lunghezza totale: 41:59


     Line-up e collaboratori

  - Steven Wilson: voce, chitarre, tastiere, campionatore, basso, percussioni, programmazione

  - David Kosten: programmazione, sintetizzatori, drone in "Count of Unease"

  - Michael Spearman: batteria, percussioni

  - Nick Beggs: basso in "Personal Shopper", Chapman Stick in "Eminent Sleaze"

  - Adam Holzman: tastiere in "Eminent Sleaze" e "Follower"

  - Richard Barbieri: sintetizzatori in "Self"

  - Jason Cooper: piatti e percussioni in "King Ghost"

  - Blaine Harrison, Jack Flanagan: cori in "12 Things I Forgot"

  - Elton John: parola pronunciata in "Personal Shopper"

  - Bobbie Gordon, Crystal Williams, Wendy Harriott, Fyfe Dangerfield, Rou Reynolds, Rotem Wilson: cori

  - London Session Orchestra in "Eminent Sleaze"

 

  Steven Wilson -

          Album da solista


2008 Insurgentes
2011 Grace for Drowning
2013 The Raven That Refused to Sing (And Other Stories)
2015 Hand. Cannot. Erase.
2017 To the Bone
2021 The Future Bites



   Links relativi: 

Steven Wilson, la vita al di là della band [1]

                        Etichetta discografica Kscope 

 

Steven Wilson, ricapitolando la sua carriera solista [1]

                        Prima parte





Non ci sono stati solo i Porcupine Tree. Nel corso della sua lunga carriera (le prime esperienze in studio di registrazione risalgono agli Anni Ottanta), Steven Wilson ha avuto all'attivo numerosi side-project, tra i quali i Blackfield (con il cantautore israeliano Aviv Geffen), gli Storm Corrosion (con Mikael Åkerfeldt degli Opeth), Bass Communion, gli I.E.M. (Incredible Expanding Mindfuck) e i No-Man (con il cantante Tim Bowness). 
Solitamente Steven Wilson suona tutti gli strumenti e cura tutti gli aspetti tecnici inerenti al suono, alla programmazione e alla produzione. Fondamentale è la sua collaborazione con Lasse Hoile, grafico, regista e fotografo danese, da anni abilissimo nel tradurre in forma visiva le sue idee.
In veste di produttore, nel nuovo millennio il musicista inglese ha anche curato le versioni remix di numerosi album legati al rock progressivo, come In the Court of the Crimson King dei King Crimson, Emerson, Lake & Palmer, Aqualung dei Jethro Tull e Fragile e Close to the Edge degli Yes. E in studio è stato in grado di plasmare il sound di influenti band moderne, come gli Opeth.

Album da solista

2008 Insurgentes
2011 Grace for Drowning
2013 The Raven That Refused to Sing (And Other Stories)
2015 Hand. Cannot. Erase.
2017 To the Bone
2021 The Future Bites

 Porcupine Tree




Il suo primo lavoro personale è Insurgentes, registrato tra gennaio e agosto 2008. (Belle a questo proposito sia l'edizione giapponese dell'album sia la "limited deluxe edition", che includono 4 tracce più una "hidden track".)
 Collaborano qui il batterista Gavin Harrison (già con lui nei Porcupine Tree), Tony Levin al basso (Peter Gabriel, King Crimson) e Jordan Rudess (Dream Theater) alle tastiere. Fior fiore di nomi, dunque. 


Steven Wilson menziona tra le proprie influenze musicali il post-punk e lo shoegaze e in particolare gruppi quali Joy Division, Killing Joke, The Flaming Lips, My Bloody Valentine e The Cure. Insurgentes è un disco difatti oscuro e a tratti misantropico, che cerca nell'infelicità, nella depressione, nella sofferenza l'acqua a cui abbeverarsi. Le radici prog-classiche vengono abbandonate forse definitivamente a favore del noise. Un omaggio al maestro Robert Fripp è "No Twilight Within the Court of the Sun", brano inserito a metà scaletta, molto crimsoniano già nel titolo. Con le sue fughe strumentali, è forse il migliore titolo dell’album, insieme all'eclettica e composita "Salvaging" (terza traccia). 
Alcuni altri brani sono vicini al metal tagliente dei Porcupine Tree dell'ultimo periodo.





Tre anni dopo esce Grace for Drowing, dove Steven Wilson di nuovo, oltre a cantare, suona vari e numerosi strumenti (keyboards, guitars, autoharp, bass, piano, gong, glockenspiel, harmonium, percussion, programming) e si rende responsabile della produzione e del mixing. 


Al momento dell'uscita di questo secondo lavoro sotto il proprio nome, il cantautore e musicista britannico è già, da oltre un decennio, una figura-chiave del neo-prog. Grace for Drowing trova alquanta risonanza su siti e magazines vari ancor prima di uscire, grazie ad anticipazioni quali files da scaricare, videoclips e la riproduzione della copertina (che è opera di Lasse Hoile). Come nel 'debut album', anche questo lavoro è una mistura di noise music, drone, minimalismo e improvvisazioni: una musica dalle mille sfaccettature. Il disco non è però un sequel di Insurgentes, bensì una reinvenzione, da parte di Wilson, della propria attività da solista. È un doppio album con ciascuna "metà" composta da quaranta minuti di musica e vi partecipano abbastanza guests da equipaggiare un reggimento militare (Jordan Rudess, Nick Beggs, Theo Travis, Tony Levin, Trey Gunn, Pat Mastelotto, Steve Hackett e vari altri).




Drive Home (EP)

Contiene alcune tracce registrate in studio e un paio di video musicali. Le registrazioni in studio - a Los Angeles - sono state fatte dal 15 al 21 sett. 2012. Inoltre, il CD e il DVD/Blu-ray contengono diverse tracce live del concerto in Germania del 23 marzo 2013 - alla Hugenottenhalle di Neu-Isenburg.  


Drive Home del 2013 meglio si può descrivere ripetendo le parole di Thom Jurek (AllMusic), il quale parla della title track come di "una stupenda fusione di atmosfere notturne pinkfloydiane e magnificenza melodica tipo Moody Blues, assoli di chitarra tentacolari e in più la cristallina produzione a firma Alan Parsons"
E le tracce dal vivo? Per Jurek, sono "versioni sopraffine" che i componenti della band "liberano dallo spazio ristretto dello studio di registrazione".








The Raven That Refused to Sing (And Other Stories)

L'evoluzione stilistica di Wilson, in cui l’artista fagocita generi diversi che vanno dal jazz all’elettronica, è un percorso tracciato da Grace For Drowning e The Raven That Refused to Sing.

The Raven That Refused to Sing venne realizzato dopo la morte del padre (è un album dedicato al sopranaturalismo) e contiene di conseguenza toni più dark, più scuri del successivo Hand.Cannot.Erase (che pure, come vedremo, si basa essenzialmente - o anche - su una storia "orrifica"). 

Released 25 February 2013
Recorded 15–21 September 2012
                           17 October 2012
Studio EastWest Studios, Los Angeles
                    Angel Recording Studios, London



 


Non è la colonna sonora di nessuna generazione; è il soundtrack dell'alienazione. Stralci di melodie, ma niente di "catchy" che ti rimanga nella testa (d'accordo: "Drive Home" è una bella ballata, non priva di lirismo quasi à la R.E.M.).

L'intro di basso e poi il giro di "Luminol" (prima traccia) sono considerati fra i migliori, se non i migliori della storia della musica degli ultimi 40 anni. Merito di ciò è in gran parte dello straordinario talento di Nick Beggs. Visto dal vivo, Beggs ha una tecnica impressionante. "Luminol" è oltretutto un brano scritto segnatamente per il basso, che qui, da strumento ritmico, diventa strumento melodico. Dopo John Entwistle di The Who, si può dire che Beggs sia il migliore bassista in circolazione.

L'impressione generale dell'album è quella di post-rock (piuttosto che di prog-rock) con inserti jazz. Tanta parte dello spartito è tenuta in scala maggiore con non poco rumore zappiano. Una drammaticità portata all'esasperazione, un lamento prolungato... come quello emesso dagli spiriti "soprannaturali" che il disco vuole rendere presenti.

Verso la metà ci sono i momenti migliori ("The Holy Drinker"  e soprattutto "The Pin Drop" con le sue sfumature genesisiane) (e si può dire la stessa cosa di "The Watchmaker").
L'ultima track, quella eponima, è anche la più memorabile, con atmosfere intime che ricordano una cameretta recondita e l'anima di un ragazzo che si proietta nell'universo pur senza lasciarla... e che alla cameretta ritorna. 
Queste almeno le impressioni che ci dà il brano n. 6, "The Raven That Refused To Sing". Una song carica di tensione, di pathos, ma almeno senz'altro bello, questo brano, dal punto di vista melodioso e dell'esecuzione. S.W. ce lo spiattella senza troppi virtuosismi stavolta, ma curandosi di creare l'ambiente, il "clima" dettato dalla situazione e dal tema. Il corvo della canzone ricorda un po' Edgar A. Poe; e la preghiera o meglio implorazione all'assente "Lilly" evoca il testo di "The Musical Box"; ma siamo evidentemente molto lontani da quella magia. Diciamo che l'artista Wilson si crea una dimensione propria di sentimenti ed empatia, il tutto però ricoperto da una patina di freddezza metallica, invaso da molto meno romanticismo di quanto potrebbe offrire l'argomento. Romanticismo che è però presente, di contro, in...


   Links relativi: 

Steven Wilson, la vita al di là della band [2]

                        Etichetta discografica Kscope 

2/17/23

Etichetta discografica Kscope

 Kscope, label che è tra le colonne portanti del nuovo prog-rock



Ancora nel XXI secolo il progressive rock dà molti bei frutti e ciò si deve anche alla vivace etichetta britannica Kscope, sotto la cui egida sono uscite diverse pietre miliari del neo-prog.

         
    Giancarlo Erra e i Nosound sono sul catalogo della Kscope, così come The Pineapple Thief    




Fondatore nonché capo dei reparti di marketing e di vendite della Kscope è Johnny Wilks. Alla fine degli Anni Novanta, Wilks fondò la Kscope esclusivamente per i Porcupine Tree ma presto la label londinese assunse un'identità propria anche al di fuori dell'orizzonte artistico di Steven Wilson. Un passo decisivo fu quello di prendere sotto contratto The Pineapple Thief. Poi venne il turno degli Anathema e dei Lunatic Soul. Era il 2008 e l'avventura era appena iniziata...

Curiosamente, il marchio "Kscope" appartiene a Wilson, il quale è rimasto nell'azienda come musicista nonché prezioso consigliere.

Il rapporto tra la Kscope e il frontman dei Porcupine Tree raggiunse l'apice nel 2013, con la pubblicazione di The Raven That Refused To Sing (And Other Stories), album che aiutò l'etichetta a crescere.

"La nostra politica è quella di sentirci e far sentire ciascun artista come parte di una grande famiglia, dove il colloquio e le cooperazioni hanno un ruolo primario" dice Johnny Wilks. 

Le strategie vanno applicate individualmente... 

"e perciò il nostro metodo di lavoro muta sensibilmente a seconda se il prodotto fa parte dell'ambito 'meditative rock' - per esempio di un gruppo ancora relativamente sconosciuto come i Nordic Giants - oppure se è di un vecchio leone del prog, tipo Ian Anderson. Ci sono inoltre shooting stars dei quali prendersi cura, come i TesseracT..."

 

Una delle band dell'etichetta Kscope: TesseracT

(Acle Kahney [tutti gli strumenti]· Ashe O`Hara per un certo periodo, ora di nuovo Daniel Tompkins [vocals] · Amos Williams [basso] · Jay Postones [drums]), 

qui con l'album del 2021 

   P o r t a l s


"L'importante è che le singole formazioni non abbiamo paura a sperimentare, per non replicare a menadito lo stile barocco e i virtuosismi autocompiacenti delle icone del prog-rock classico."

"Post-progressive" è l'appellativo che la stessa etichetta ha scelto per l'indirizzo musicale che la contraddistingue. Dopo appena dieci anni, il nome "Kscope" faceva parte già degli standard del genere progressive; e ne è oggi - dicono in tanti - la pietra angolare.

Articolo sui Klone (Brescia Oggi)


Alcuni degli atti che hanno pubblicato e pubblicano con la Kscope: Giancarlo Erra (Nosound), Anathema, Mariusz Duda (Lunatic Soul), Gazpacho, Aviv Geffen (Blackfield è il progetto che Aviv conduce insieme a Steven Wilson), The Pineapple Thief con Gavin Harrison, il duo russo iamthemorning composto da Marjana Semkina e Gleb Kolyadin...


Gli Empyre dagli Stati Uniti, una delle ultime acquisizioni della Kscope 


Articolo (in inglese) sul passaggio degli Empyre all'etichetta londinese (su: Heavy Magazine)


Altri link

Il "Kscope Podcast" (su Soundcloud) presenta varie e interessanti selezioni, come questa "Top 10 Steven Wilson Songs"


The Kscope (Video-)Podcast with Billy Reeves


Dove poter comprare i vinili e i CD degli artisti della Kscope? Nel Kscope store su Burningshed! 


                                "... post-progressive"?



Kscope Homepage



2/07/23

La bellezza della stranezza: Kay Hoffman - 'Floret Silva'

 Sembrerebbe un disco di musica religiosa ma è di più: è un'opera che rientra nel folk-rock d'avanguardia, nel Krautrock, nel rock progressivo, nel folk medievale, nello psych folk.

Di "psych" si deve assolutamente parlare, giacché l'iniziatrice del progetto è in seguito diventata celebre come autrice di libri di terapia di danza, trance, estasi, ipnosi, esperienze mistiche. Nata a Basilea ma di nazionalità americana, Kay Hoffman ha compiuto studi di musica, filosofia e ipnosi e si è dedicata alla programmazione neurolinguistica. Ha insegnato danza, sviluppando il suo personale sistema di terapia del movimento.



Disco stranissimo ma per noi interessante questo Floret Silva, in quanto la Hoffman (nel ruolo di compositrice e musicista) si servì anche di alcuni nostri vecchi conoscenti del progressive rock per realizzarlo: i Pierrot Lunaire, più segnatamente Gaio Chiocchio e Jacqueline Darby (quest'ultima, la conosciamo per aver partecipato all'album Gudrun).


   Tracks: 

1.  Iste Mundus
2.  Floret Silva
3.  Exorcisms
4.  Intermezzo (Chume Chume)
5.  Ich Will Truren
6.  Rondo
7.  Mai Tanz
8.  Quot Sunt Horae
9.  Tot
10.  Sonus Dulcis Lyrae
11.  Ouverture Zum Fest
12.  Intermezzo (Fagott Sommer Nacht Promenade)
13.  Tempus Instat
14.  Langueo (Vacilantis)
15.  Chume Chume
16.  Nummus
17.  Post Communio Sancti Cyrilli



     Musicisti e altri fautori del Floret Silva:

- All: Choir/Chorus


- Mark Armstrong: Reissue Coordination

- Carlo Bardi: Bassoon

- Gaio Chiocchio: Arranger, Guitar (Electric)

- Jonathan Coleclough: Design

- Renato Cordovani: Clarinet, Clarinet (Bass), Sax (Tenor)

- Jacqueline Darby: Laughs, Siren, Vocals, Voices

- Christoph Heemann: Tape Transfer

- Kay Hoffman: Arranger, Clavinet, Composer, Percussion, Piano, Primary Artist, Voices

- Michele Losappio: Arranger, Clavinet, Composer, Engineer, Fender Rhodes, Piano, Trombone, Vocals

- Tolmino Marianini: Trumpet

- Maurizio Pieri: Engineer

- Sandro Raimondi: Drums, Engineer, Percussion, Sax (Alto)

- Gianni Salaorni: Guitar (Acoustic), Guitar (Electric)

- Kevin Spencer: Audio Restoration

- Simo Valzania: Arranger, Bass, Bass (Electric), Bouzouki, Composer, Effects, Engineer, Flute, Glockenspiel, Guitar, Guitar (Acoustic), Harp, Harpsichord, Organ, Recitation, Toy Piano, Violin, Vocals, Water Effects

- Nicola Vernuccio: Bass, Bowed Double Bass, Double Bass


 Chi lo ha recensito (pochi) ha accostato questo disco allo stile di Dr. Strangely Strange, Gong, Stone Angel, Incredible String Band... Comus. diciamo che appartiene a un sottogenere dell'IPR (Italian Progressive Rock) - allo psych folk underground.


La Hoffman si è sforzata di mettere in musica parti dei Carmina Burana, come già fece il tedesco Carl Orff nel 1935-36 (sua la celebre cantata intitolata appunto 'Carmina Burana'). Si tratta di un'antologia medievale (dell'XI-XIII sec.) di 253 componimenti poetici a tema mistico-religioso in Altdeutsch e in francese antico.


Aiutata dai Pierrot Lunaire (in primis dalla cantante classica gallese Jacqueline Darby), Hoffman realizzò dunque il suo Floret Silva, che ha una genesi tumultuosa per causa di tempi non rispettati e altri ostacoli, cosicché l'opera non vide la luce nel 1977 e neppure nel 1978, come era previsto (e doveva uscire per la RCA), ma soltanto nel 1985, grazie a una piccola etichetta giapponese (Belle Antique). Tre decenni dopo la sua nascita, il disco venne finalmente pubblicato in un'edizione degnissima: da Robot Records.  






A tratti sembra di sentire una protoversione dei Dead Can Dance... se questi sapessero cantare il latino (la Darby, a quanto possiamo giudicare, l'antico idioma lo conosceva bene). Gli strumenti principali sono il flauto, l'arpicordo o clavicembalo, fiati e strumenti a corde. La musica tradizionale dalla coloratura medievale presenta inserti avanguardistici (con risate, sirene, aggiunte vocali à la Luigi Nono o Luciano Berio) e ornamenti di sonorità rock stile Anni Settanta. Ad un certo punto non si sa più cosa sia più anacronistico: le melodie pastorali e a sfondo religioso (ma a tratti sembra piuttosto un prendersi gioco di tanto trasporto di fede!) oppure i passaggi modernistici.

È un album davvero strano e intrigante, che piace e cattura chi sul serio vuole essere catturato. E che ci impone di riascoltarlo più volte.


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