Il nostro blog vi fa tanti auguri per un felice Capodanno e un proficuo 2022!
Anticipazioni: un'intervista con il tastierista Mirko Jymi e la recensione del nuovo album degli Odessa (vedi i nostri servizi dedicati al gruppo marchigiano, e l'intervista con il bandleader Lorenzo Giovagnoli). Una serie di proposte dei migliori album usciti nel 2021. E le solite retrospettive "storiche" marcaprog-rock!
Su Amazon: il libro di Donato Zoppo dedicato alprogressive rock. Dai Beatles fino ai giorni nostri. Lettura non sempre facile, ma gli appassionati ne godranno come di una sorta di Sacro Graal.
Sempre su Amazon: Neo Prog. L'autore, Massimo Salari, parte dalle band inglesi che hanno rilanciato il genere (Marillion, IQ, ecc.), per poi allargare l'orizzonte a livello mondiale. E ovviamente italiano.
Questa è la classifica stilata da questo ragazzo (convertita in: dal disco migliore al disco peggiore):
1. Selling England By The Pound
2. A Trick Of The Tail
3. Foxtrot
4. The Lamb Lies Down On Broadway
5. Wind And Wuthering
6. Nursery Cryme
7. Duke
8. Trespass
9. And Then There Were Three...
10. Genesis
11. Invisible Touch
12. From Genesis To Revelation
13. We Can't Dance
14. Calling All Stations
15. Abacab
... e questa è la classifica diProg Bar:
1. Selling England By The Pound (1973) 2. The Lamb Lies Down On Broadway (1974) 3. Foxtrot (1972) 4. Nursery Cryme (1971) 5. Trespass (1970) 6. A Trick Of The Tail (Febbr. 1976) 7. From Genesis To Revelation (1969) 8. And Then There Were Three... (1978) 9. Wind and Wuthering (Dic. 1976) 10. Genesis (1983) 11. We Can't Dance (1991) 12. Invisible Touch (1986) 13. Duke (1980) 14. Calling All Stations (1997) 15. Abacab (1981)
Qua erano senza Peter Gabriel...
... e poi rimasero soltanto in tre (Steve Hackett lasciò il gruppo)
Sui Genesis e i loro album ovviamente ci sono molte opinioni. Chi ama il rock progressivo, preferisce il primo periodo (1970-'76 ca.); chi li apprezza di più come band poppeggiante, amerà senz'altro tutta la produzione "capitanata" da Phil Collins. Ma le sfaccettature sono numerose e ci sono anche album dei Genesis che possono inquadrarsi sotto la categoria jazz-rock.
Ecco qui - vedi video sottostante - un'altra classifica dei migliori album genesiani, a cura del giornalista John Beaudin.
Classifica della votazione indetta da John Beaudin (Rock History Book):
1. Selling England By The Pound
2. The Lamb Lies Down On Broadway
3. A Trick Of The Tail
4. Wind And Wuthering
5. Duke
6. Foxtrot
7. Nursery Cryme
8. Genesis
9. Trespass
10. And Then There Were Three...
11. Abacab
12. Invisible Touch
13. We Can't Dance
14. Spot The Pigeon (1977)
15. Three Sides Lives (1982)
16. Calling All Stations
17. From Genesis To Revelation
Cominciamo con l'assolo di basso che cambiò la musica "pop".
Jaco Pastorius, "Donna Lee", brano di Charlie Parker.
Dall'album di debutto di Jaco.
Oggi sarebbe stato il compleanno di Jaco Pastorius. (1º dicembre 1951 – 21 settembre 1987)
Nick Beggs (bassista che ha suonato con Steve Hackett, Steve Howe e Steven Wilson) ha stilato una propria classifica dei 10 migliori bassisti. Vedi l'articolo (in inglese).
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Un breve docufilm su Pastorius, che aveva una vita gravata da problemi ma che riuscì a diventare "il Jimi Hendrix del basso".
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Jaco Pastorius - Live in Montreal 1982
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Omaggio a Jaco Pastorius.
Tre fans avevano girato un video dedicato a uno dei loro idoli, il grande bassista Jaco Pastorius. Immagini andate perse, poi ritrovate. E, oggi, il genio di Jaco (purtroppo morto troppo giovane, come tutti ben sappiamo) risplende anche grazie a "The lost tapes".
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Qui la grande Joni Mitchell, dall'album - registrato dal vivo - Shadows And Light (1980). Con Jaco Pastorius al basso e Pat Metheny alla chitarra. Poesia e commozione!
Per ascoltare (e vedere) l'intero concerto, clicca qui.
L'album dal titolo Hejira della Mitchell, del 1976, era stato un lavoro che comprendeva - anche quello - un cast stellare, e anche quello venne impreziosito, e non di poco, dal basso di Jaco, presente in 4 dei brani registrati in studio. Jaco Pastorius divenne per un po' il bassista fisso della Mitchell: fu presente anche in Don Juan’s Reckless Daughter (1977) e Mingus (1979).
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... e siamo al "mercato nero" come ce lo raccontarono i Weather Report. Eh sì, qui, in "Black Market", al basso c'è Pastorius.
Questo fu l'esordio degli Odessa nel 1999, allora per la Mellow Records. Stazione Getsemani: album molto promettente e, se si realizza che la band marchigiana ha da allora pubblicato in effetti solo un altro disco (The Final Day, nel 2007; il tanto atteso L'Alba della civiltà difatti non uscirà prima del gennaio 2022), sorgono molti quesiti su quella che è la vita di artisti, musicisti, e persone che creano in generale, e ci si chiede perché alcuni di loro hanno successo mondiale e molti altri - magari più quotati - faticano persino a farsi notare nel proprio Paese.
e tra parentesi occorre dire che quello di Milanese al flauto è un gradito come-back, avendo questo musicista già impreziosito diversi brani di Stazione Getsemani... prima di collaborare con un altro gruppo progressive in odore di "cult", ossia con i salentini Aria Palea. Vai alla pagina di Milanese per leggere la straordinaria e intensa carriera di questo flautista uscito dal conservatorio.
Occhio all'uscita (assai prossima) di L'alba della civiltà, terzo album in oltre venti anni di esistenza del gruppo!
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"Di buio e luce" è la seconda traccia di Stazione Getsemani degli Odessa. L'album, del 1999, consiste di 9 tracce e contiene due riuscitissime cover: "Caronte" di The Trip e "Alzo un Muro Elettrico" de Il Rovescio della Medaglia.
"Di buio e luce - parte seconda" sarà contenuto nel nuovo album degli Odessa (il loro terzo in oltre 20 anni che il gruppo esiste), L'alba della civiltà, label: Lizard Records. Dateline: gennaio 2022.
L'album Final Day uscì nel 2009 per la Lizard Records. Questa è la title track.
Odessa - "Esilio" (primo track del primo album Stazione Getsemani, risuonato "in quarantena" oltre 20 anni dopo, nel 2020).
Molto valido il CD dei Wish, sia come fattura (nonostante si tratti di un'autoproduzione: grafiche e foto formidabili, tra l'altro), sia per il contenuto - cosa, quest'ultima, non sempre ovvia.
La data di pubblicazione dice "2019" e, essendo da allora ormai trascorsi due anni, è lecito attendersi, da Patti Salvatore e accoliti, un seguito di questo Stay Here My Friends.
Il quartetto romano apre le danze con lo strumentale "Like A Yes", che può darsi sia nato da una seduta jam, ma è talmente complesso e ben orchestrato da farci credere che il risultato finale sia frutto di lungo lavoro. Non è certo una sonatina semplice, ma per un gruppo del genere equivale al classico esercizio per "scaldarsi le mani".
Già l'inizio di "Deep Wish", il secondo brano, ci fa addirittura salire di grado. Qui conosciamo la voce di Franceschelli (il canto è in inglese) calata in un'atmosfera cupa, distopica forse. È una traccia dalla quale probabilmente si sarebbe potuto ricavare un tantino di più, anche a livello canoro, ma tra toni strumentali bassi e cantato quasi incerto, impaurito, l'esito rimane quello forse voluto dalla band: creare visioni di un'attesa o di un desiderio che null'altro è che un'utopia, come di chi aspetta Godot. Un perdersi in una dimenticanza senza speranza. (Un po' di prog metal nel pentagramma.) E:
"At night words are lighter
but in the sleepless dark
they turn in circle..."
Arriviamo così a "Dancing With Myself".
Frasi come "I'm scared by shadows I'm a fly in a jar" ("spaventato dalle ombre, sono una mosca dentro un barattolo") fanno capire che la canzone ci racconta - di nuovo - una situazione di dubbi, di inanità. La musica però si snoda con positività, come se, almeno a livello di desiderio onirico (già: "wish"!), si fosse superata l'impasse. E anche il ritmo cresce.
"Scrambled Eggs", strumentale, è certamente uno dei pezzi migliori dei sei che costituiscono l'album. Sei minuti circa di... "uova strapazzate", proprio: c'e tutto l'armamentario sonoro della storia del rock sinfonico a convogliare nel brano. Atmosfera mediterranea a tratti (a ricordarci gli Alias, da Napoli), poi anche un alito di Nord. Ad ogni modo: più cambi di scene che cambi di tempo.
"Church" si apre - giustamente - con un organo che si direbbe a canne, poi parte la chitarra di Giorgio Simonetti. E Piergiorgio Franceschelli intona: "Seven the notes and / Seven the days and / Seven the seals..." Tutto un elenco di cose che sono "sette": "Seven the verses / Seven the sins and / Seven the branches of Menorah"... Segue un lungo intermezzo carico di lirismo riflessivo (e per questo la canzone si fa volere bene), prima che, attraverso interessanti soluzioni sonore, si torni al tema iniziale: "SEVEN the virtues / SEVEN the wonders..."
L'album si chiude con il brano che dà il titolo al disco: "Stay Here My Friends", molto riuscito. Diciamo pure: il migliore in assoluto, quello per cui vale la pena comprare il CD.
Poiché i testi sono esclusivamente di Franceschelli, è forse da imputare a lui il carattere "dark" di questo disco (unico barlume di speranza proprio nell'ultima traccia: "Standing here, / I'm lonely in this moment / Looking off / here and there to find you / in a frantic crowd / Waiting for the moment to come") ma la sua "filosofia" sembra essere stata abbracciata in pieno dalla band, che lo accompagna facendosi specchio, in fondo, della realtà là fuori; qua fuori.
Sì, siamo curiosi di ascoltare il seguito!
Del resto, i Wish esistono fin dal 1992. Giusto dunque che intensifichino gli sforzi per farsi conoscere meglio e di più!
Piergiorgio Franceschelli - Lead and Backing vocals
L'ultimo album solista dell'ex Orme prima di questo risaliva al 2018 e si trattava di una rilettura prettamente pianistica di brani della famosa band in cui lui ha militato per decenni. Il titolo di quel lavoro: Canzone d'amore. Che è una replica di un'operazione precedente, Apres Midi (2010, CD autoprodotto, anche lì solo pianoforte). Un'idea davvero buona, questa riproposta raffinata di celebri canzoni delle Orme: i fan della band hanno gradito il cadeau.
Con Rosa mystica abbiamo un prodotto ancora - o di nuovo - sorprendente. E per molti inaspettato.
Tolo Marton, Tony Pagliuca e Aldo Tagliapietra, 2010. Pagliuca è fautore di tante iniziative e ama le sperimentazioni. Ha suonato tra l'altro con musicisti degli Henry Cow (Chris Cutler) e dei Soft Machine (Hugh Hopper)...
Sappiamo che la musica può agire da supporto spirituale; ebbene, qui - in Rosa mystica - la spiritualità è programmatica. Tuttavia non c'è nulla di enigmatico o esoterico: è un tuffarsi nella luce. Nella certezza.
Certo, quest'opera ci fa riflettere spingendoci verso una precisa direzione - devozione, ascetismo, gioia effimera della vita (la nascita, il divenire)... Ma se è vero, com'è vero, che "Rosa mystica" non è soltanto una meraviglia botanica ma, nel Credo cattolico, pure un chiaro riferimento alla Madonna (provate a googlare "litania lauretana"), è pure vero che non occorre essere religiosi per apprezzare appieno l'album in questione.
Tony Pagliuca (foto di qualche anno fa)
Che cos'è Rosa mystica?
È la trasposizione in musica, grazie alla collaborazione del compianto Maestro Vittore Ussardi, dei "Misteri Gaudiosi del Rosario".
Che cosa ci offre Rosa mystica?
Un crescendo, un ripetersi del coro, poi di nuovo bellezza in ascesa, note in progressione, un insistere, come mantra... Ci viene da pensare a Florian Fricke dei Popol Vuh e al contemplativo - anche quello in chiave cristiana ma non solo; anche quello ecumenico - Hosianna Mantra.
La grafica è stata curata da OndemediE, con inseriti degli splendidi quadri di Beatrice Cignitti.
Abbiamo ascoltato Rosa mystica quattro-cinque volte (in anteprima): è insita una grande gioia nel nuovo lavoro a firma Tony Pagliuca, e, come detto, non occorre necessariamente essere religiosissimi né pensare a un'ispirazione strettamente mistica o esoterica che sia alla base dell'opera: Rosa mystica, pur se si snoda come un rosario (con diverse "variazioni sul tema", mentre si alternano l'"Ave, Maria" e il "Pater Noster"), denota la felicità - anche fisica - di chi ha suonato nel disco. Partecipare a tale progetto è stato certamente soddisfacente - e quasi un'esperienza di vita più unica che rara - per Giuseppe Vio (chitarre), Alberto Pagliuca (ukulele) e Paolo Vianello (batteria), i quali, insieme a Tony Pagliuca (tastiere), hanno accompagnato le voci di Elisabetta Montino (ex Quanah Parker) e di Andrea Saccoman (per notizie su Saccoman, cantante di Mestre, vedi anche il progetto Pagliuca Ensemble). C'è una certa "sacralità" di fondo, chiaro, ma questa è legata alla tradizione e alla storia tipiche di una civiltà che credevamo perduta (come se fosse quella assiro-babilonese!) e che invece ha continuato a vivere parallelamente a noi "moderni"... E questa musica sacra si sviluppa in chiave di affrancamento, di riscatto di stampo terapeutico: per chiunque.
"Rosa mystica". Un esemplare del fiore
Ma come mai Tony Pagliuca, il cui curriculum extra-Orme è ricco di scelte avanguardistiche, si è concentrato adesso sul tema della "Rosa mystica"?
La spiegazione l'abbiamo sottomano: il tastierista e compositore (ma è anche autore di testi teatrali) ha collaborato, non troppo tempo fa, alla realizzazione del CD di Papa Francesco Wake Up! Go! Go Forward!
Papa Francesco e un album prog rock?
Eh sì. (Leggi questa... meta-recensione.) La base musicale di quel disco, scritta da Don Giulio Neroni e da Pagliuca, è un rock dalle varie sfumature in buona parte anche prog rock - e accompagna i discorsi del pontefice in diverse lingue. Undici le tracce presenti su Wake Up!, e la "mano" di Tony Pagliuca si sente: eccellenti le tastiere.
E adesso questa Rosa mystica, che esibisce la seguente scaletta
MISTERI DELLA GIOIA.
1. L'ANNUNCIAZIONE DELL'ANGELO A MARIA
2. LA VISITA DI MARIA AD ELISABETTA
3. LA NASCITA DI GESU' NELLA GROTTA DI BETLEMME
4. LA PRESENTAZIONE DI GESU' AL TEMPIO
5. IL RITROVAMENTO DI GESU' TRA I DOTTORI NEL TEMPIO
ma, di fatto, ci offre un rosario (Pater Noster e Ave, Maria) che si snoda, nelle sue sottili varianti, per 33 minuti. Probabilmente i 5 capitoli della tracklist, chiamiamola così, vogliono servire principalmente a ritrarre l'animo con cui sono state registrate le diverse fasi della Rosa mystica. Gli episodi della vita di Gesù - fin dal suo concepimento - devono essere dunque pensati quale semiografia musicale, notazione.
Il simbolismo mariano e l'allegoria mistica in forma di opera musicale iniziano in maniera fantastica, sacrale possiamo affermare, e la tensione viene sminuita un po' dal canto che riprende il Pater Noster con accompagnamento a intermittenza di ukulele (soluzione davvero originale in un concept siffatto, e riuscita).
L'Ave, Maria in latino che si avvicenda con il Pater Noster...
Ave, Maria, grátia plena,
Dóminus tecum.
Benedícta tu in muliéribus,
et benedíctus fructus ventris tui, Iesus.
Sancta María, Mater Dei,
ora pro nobis peccatóribus,
nunc et in hora mortis nostræ.
Amen.
Pater noster, qui es in caelis :
sanctificetur nomen tuum :
adveniat regnum tuum :
fiat voluntas tua, sicut in caelo, et in terra.
Panem nostrum quotidianum da nobis hodie :
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris
et ne nos inducas in tentationem.
Sed libera nos a malo.
È un accelerando, un accrescimento, che effettivamente diventa giocondo e, a un paio di minuti o addirittura a solo un minuto dalla fine, si distende infine in maniera liberatoria, per lasciare il posto a una coda gioiosa e semplice (ukulele + voce maschile).
Si "sente" la partecipazione convinta dei singoli protagonisti di questo gioco prodigioso, che fonde ogni pensiero e senso di spiritualità in un magma di luce, di positività. Alla base del progetto c'è un'idea forse bizzarra - almeno per chi per anni si è occupato di rock e cose pagane -, ma Tony e consorti l'hanno abbracciata e l'hanno saputa ben interpretare, e così viene ribaltato ogni pronostico e il lavoro che altri avrebbero subdorato gravoso, cupo, sboccia invece in meraviglia e in joie de vivre.
Le più belle canzoni de Le Orme in una fantastica riscrittura per Piano Solo.
Breve biografia dell'artista
Pagliuca Antonio ("Tony") nasce a Pescara ma fin da piccolo vive in Veneto (è in pratica margherotto, più che pescarese). Impara la musica da autodidatta e con Le Orme attraversa l'epoca beat con il grande successo di "Senti l'estate che torna". Subito la band - grazie anche al suo suggerimento e ai suoi impulsi - fa il grande salto verso il prog, o meglio rock psichedelico (allora il prog rock era "pop"), con l'album Ad Gloriam. (La formazione classica delle Orme: Aldo Tagliapietra al basso, alle chitarre e voce, Pagliuca alle tastiere e Michi Dei Rossi alla batteria.) Dopo le esperienze londinesi (era il periodo post Beatles e Londra era popolata da gruppi come Quatermass, The Nice, Yes, Emerson, Lake & Palmer, Pink Floyd, Soft Machine: tutti argomenti convincenti, per Tony Pagliuca, affinché il suo gruppo si lasciasse il beat alle spalle e si dedicasse tout court al pop sinfonico e ancora meglio a sperimentare e creare cose nuove), ecco un altro LP poi divenuto cult, Collage, per la "regia" di Giampiero Riverberi: apripista del progressive italiano. Il resto è la favola delle Orme che tutti conosciamo, da Uomo di pezza (il singolo "Gioco di bimba" rimase un bel po' nella hit parade!) attraverso tutti gli Anni Settanta (mitico Felona e Sorona!) e al paio di partecipazioni al Festival di Sanremo negli Ottanta.
Con alcuni brani romantici (ma non smancerosi: intelligenti, eleganti e misteriosi), la band ebbe successo e, delle tre Orme, era lui, Tony, a prendersi la briga di rispondere alle critiche e cercare di spiegare che il riscontro di pubblico e dunque il successo commerciale non poteva essere demonizzato. E altre volte doveva spiegare invece la cosa opposta, ossia che la ricerca musicale della band doveva proseguire sempre e comunque, anche a costo di adottare svolte brusche e radicali.
Durante quel periodo assai fecondo, le musiche godettero più volte della supervisione del produttore Gian Piero Reverberi; e Pagliuca scriveva i testi, spesso criptici.
Young Tony
Dagli Anni Novanta in poi, Pagliuca intraprende la carriera solista. L'attività concertistica è intensa, le collaborazioni che può vantare sono numerose. Gli album che incide (avanguardistici ma anche con canzoni di un certo impegno ecologico e sociale, come "Io chiedo", oltre che reinterpretazioni di brani delle Orme) arriveranno a superare la mezza dozzina, e portano i titoli
Io chiedo (1990)
Immagin-arie (1993)
La notte della stella(1999)
Demos a Marghera (2003)
Re-Collage (2004)
Apres Midi (2010)
Canzone d'amore (2018)
Al Prog Exhibition di Roma del 2010 Tony Pagliuca e gli amici celebrano "40 anni di musica immaginifica". E gli amici sono Aldo Tagliapietra, Tolo Marton (altro ex componente delle Orme) e David Cross, già dei King Crimson. Il nome di quella straordinaria formazione: Once Were Le Orme.
A un certo punto del suo divenire professionale (agosto 2014; il luogo: Mulini di Dolo, VE) ha anche la soddisfazione di suonare insieme ai due figli Alberto Pagliuca - chitarre, basso e voce - ed Emanuele Pagliuca - percussioni. È il Pagliuca Trio, con papà all'Hammond e ai synthesizers. Direzione artistica - come in un'ideale chiusura del cerchio -: Gianpiero Reverberi.
Da adolescente Billy Joel (New York, 9 maggio 1949) si interessò di musica classica ma a 16 anni, come tanti della sua età, entrò in un gruppo rock, The Echoes.
Dopo alcune vicissitudini, alla fine del 1965 gli Echoes cambiarono il loro nome in Emeralds e successivamente in Lost Souls. Joel abbandonò la band nel 1967 per unirsi a The Hassles, gruppo di Long Island che aveva firmato addirittura con la United Artists Records. Nel corso dell'anno e mezzo successivo, The Hassles pubblicarono quattro singoli e due album (The Hassles e Hour of the Wolf). Furono fallimenti, dal punto di vista comemrciale. Joel e il batterista degli Hassles, Jon Small, lasciarono la formazione nel 1969 e decisero di tentare la fortuna come duo: ed ecco nati gli Attila.
Joel e Jon Small: gli Attila!
Pubblicarono l'album di debutto (Attila) nel luglio 1970. Però già ad ottobre i due musicisti si separarono: Joel aveva iniziato una relazione con la moglie di Small, Elizabeth...
(La coppia si è poi sposata.)
In Attila, Joel usò un organo Hammond che alimentava direttamente gli amplificatori, ottenendo un suono più puro, e aggiunse un pedale wah-wah per ottenere maggiori effetti, nonché una tastiera per basso progettata da lui stesso: e così eccolo entrare a pieno titolo nella storia della musica elettronica popolare.
L'album è un mix di rock progressivo, psichedelia e hard rock. Stephen Thomas Erlewine (AllMusic) ci va giù alquanto duro:
"Trattasi senza dubbio del peggior album uscito nella storia del rock & roll! Anzi: nella stessa storia della musica registrata! Abbiamo visto applicare molte cattive idee ad album di rock, ma niente eguaglia la colossale stupidità di Attila."
Lo stesso Billy Joel, del resto, definisce il disco come "merda psichedelica". In realtà - e siamo sinceri! - non è poi così malaccio. A volte ricorda Keith Emerson che combina cose folli con l'Hammond...
Stay Here My Friends è il titolo del loro - finora - unico album, sospinto dalle tastiere di Salvatore Patti e con un bel reticolato sonoro di chitarra elettrica (Giorgio Simonetti, anche basso) e batteria (Massimo Mercurio).
Belli anche i testi e gradevolissimo il canto in inglese (Piergiorgio Franceschelli).